martedì 17 gennaio 2017

Iran 2016: ultimo giorno in Iran


Sabato 30 aprile

Andare di prima mattina presso la Moschea Nasir ol Molk è sicuramente la cosa più intelligente da fare. La particolarità di questa moschea infatti è quella di avere delle vetrate colorate orientare a levante che illuminano splendidamente la sala di preghiera invernale. È proprio questo effetto a fare impazzire i turisti che in ogni modo adorano farsi delle foto sotto i raggi colorati della vetrata.


Gli interni della moschea Nasir ol Molk
Il resto della giornata è passato visitando altri monumenti che non mi hanno destato particolare stupore, forse per il fatto che in fondo era un susseguirsi di stili ormai comuni e di architetture non particolarmente importanti. Ad esempio il Giardino Eram pur essendo patrimonio Unesco, dato che si trattava di un giardino persiano, non mi ha esaltato. Il tempo poi è trascorso un po’ stancamente, forse perché ormai era chiaro che si era giunti all’ultimo giorno. Infatti, ormai liberi da ulteriori visite, siamo andati al bazar per fare gli ultimi acquisti. Poi nel pomeriggio, quando ci era data la possibilità di girare in maniera indipendente, onde riempire il tempo, ho deciso di fare una passeggiata solitaria. Sentivo il bisogno di quel contatto con il luogo senza il filtro ovattato dell’organizzazione di viaggio, ma con la sola voglia di andare laddove io desideravo muovermi. Così a piedi mi sono incamminato sino alla Porta del Corano che si trova all’ingresso nord della città. In effetti l’avevamo incrociata quando eravamo giunti in città, e dall’autobus il posto sembrava davvero bello. Dopo una quarantina di minuti di camminata sono giunto sul posto. Sarei voluto entrare nel giardino che si inerpica tra i due monti a lato della porta, ma sia il caldo che la necessità di pagare un biglietto mi hanno scoraggiato.


La porta del Corano
Le ultime sensazioni
Gli unici episodi da ricordare di quest’ultimo giorno sono stati la curiosa rappresentazione su piastrelle di una sorta di harem dove le donne vengono servite da un uomo, forse un eunuco. Questa immagine si trovava all’interno di uno dei bar del bazar in cui ci eravamo intrattenuti. L’impressione che ne ho avuto è quella che, pur non sapendo nulla: né chi l’ha creata, né le ragioni o i contenuti, mi mostra però una sfaccettatura dell’Iran molto diversa da quella che pensiamo di affibbiare con facilità a questo paese…


L’altra è avvenuta davanti ad un fornaio dove abbiamo potuto constatare come la forma del pane sia come quella araba, cioè piatta. Le persone infatti prendono la forma di pane e lo piegano in più parti mettendolo in una busta. Davanti a noi c’era una donna anziana con il chador, con nostro stupore vedendoci stranieri ci ha offerto di assaggiare un pezzo di pane nonostante fossimo in tanti. Sicché anche questo elemento aggiunge un tassello allo spirito aperto e amichevole degli iraniani, un aspetto che non dimenticherò mai.


I nasi rifatti
Nel corso del viaggio, soprattutto nelle grandi città, abbiamo incrociato molte donne con una benda sul naso. Una delle caratteristiche contraddittorie delle donne iraniane è la tendenza a rifarsi il naso, questo intervento di chirurgia estetica sembra essere molto comune tra le iraniane. I nasi persiani infatti sono spesso un po’ pronunciati e ciò non piace spingendo in tante a farsi un’operazione. Il risultato finale è spesso quello di avere un naso alla francese talmente forzato da apparire brutto. Alcune donne sembravano assomigliare a Michael Jackson, con quel suo naso all’insù così improbabile. In aereo, sulla strada del ritorno, ho notato una ragazzina che andava in Turchia e anch’essa aveva una benda sul naso. Ricordo di averla guardata non solo per questa scelta di ritoccarsi molto giovane, ma anche per il fatto che nel momento in cui siamo usciti dallo spazio aereo dell’Iran non ha esitato a togliersi il velo: il che la dice lunga su come le nuove generazioni considerino questa restrizione.

Un profilo tipicamente persiano

Conclusioni
Le mie conclusioni sull’Iran parlano di un cambio personale di percezione su questo paese. Se dall’esterno si è convinti di andare in un paese difficile, pericoloso e ostile agli occidentali si è costretti a ricredersi clamorosamente quando si arriva sul posto. Se poi ci si interroga su come, nei fatti, possa accadere che la politica mantenga questa “oppressione” censurando internet e coprendo il capo delle donne, io una qualche spiegazione la trovo. La base per capire qualcosa in più proviene ovviamente dalla cultura islamica del paese, ma anche da una certa forma progressista insita della spiccata intelligenza di questo popolo. Qui non si tratta di avere a che fare con degli straccioni fanatici, perché la società iraniana è più complessa e variegata di quanto si creda. L’élite religiosa al potere ha certamente i suoi limiti e le sue colpe, ma forse l’idea di puntare il dito, come fa l’Occidente in maniera troppo semplicistica è un errore. Le società islamiche sono fondate su dei valori non barattabili che noi invece abbiamo stravolto. È pur vero che il ruolo della donna in Occidente è sensibilmente migliore, se non del tutto paritario, ma sono anche veri gli eccessi. Come ogni società abbiamo il rovescio della medaglia, per esempio l’estremo materialismo. Difatti la leggerezza con cui noi consideriamo certi argomenti delicati, come i valori della famiglia e dei minori, per loro non sono messi in dubbio. E’ come se per certi aspetti fossero rimasti “indietro”, ma mantenendo però dei principi sani di etica. Le regole per noi assurde e rigide vigenti in Iran sono in realtà il modo con cui le élite religiose cercano di arginare il secolarismo e gli eccessi dei disvalori. Per questa ragione si tende sempre a porre una distinzione tra usanze occidentali e islamiche: come il fatto di non usare la cravatta. 

Rispetto ad altri paesi, l’Iran sembra molto propenso ad essere sedotto dallo stile di vita Occidentale. In fondo ci osservano molto più di quanto crediamo, sanno molte più cose di noi di quanto noi sappiamo di loro: se le donne avessero maggiore libertà o se potessero fare ciò che è concesso in Occidente credo che il paese ne verrebbe stravolto in poco tempo. Le repressioni degli istinti e delle spinte sono tante, questo sembra evidente. Ma, ripeto, non bisogna vedere questa impostazione della società in maniera totalmente critica. Da un lato è l’espressione di un popolo e della sua cultura, dall’altro una forma di protezione. È per questa ragione che un sano confronto con la gente del posto potrebbe darci la chiave per comprendere gli errori di cui ci siamo fatti carico. Perché prima di spingere gli altri a modificarsi, come sappiamo ben fare, sarebbe molto utile viaggiare per modificare noi stessi.





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