lunedì 21 maggio 2012

Le dieci regole del controllo sociale

Noam Chomsky non è solo un linguista, un filosofo e un teorico della comunicazione americano, è soprattutto un uomo impegnato dell'interpretazione della contemporaneità e nel sociale. In questo video vengono lette le Dieci regole del controllo sociale, ossia ciò che il potere (governi e lobby economiche) che Antonio Negri definisce semplicemente Impero, per mantenere in vita se stesso.
L'elenco e la spiegazione dei singoli passaggi sembra perfettamente aderente alla realtà italiana e alla sua storia recente. Chi segue e conosce questi fatti troverà assolutamente familiari tali "regole".

La comprensione di questo video aiuta certamente a comprendere il complesso momento storico che la nostra nazione sta affrontando: dal post-berlusconismo alle nuove tensioni sociali, e da ultimo la bomba alla scuola di Brindisi.


venerdì 18 maggio 2012

Ennio Flaiano

Niente di più triste di un artista che dice: «Noi pittori» oppure: «Noi scrittori»; e sente la sua mediocrità protetta e confortata da tutte le altre mediocrità, che fanno numero, società, sindacato.

Dio ci ama (ne abbiamo continue prove); vuole però essere contraccambiato. Io, se mi decidessi ad amarlo, lo amerei senza chiedergli nulla. Il mio difetto è la generosità, il disinteresse.

...e le insegne. Niente mi ha dato più gioia, se si eccettua il Prado, di un cartello trovato in un locale notturno: En caso de incendio, no alamarse. O l'insegna di un'ostetrica: Encarnación Gutiérrez, profesora en parto. O l'insegna scritta sul muro bianco di una caserma: Se prohibe terminantemente hacer agua. O il cartello di un veterinario: Consulta para aves, monos, gatos y perros. O la semplicità sintattica dei cartelli sulle case in vendita: Se vende esta casa. O l'avviso che gli autobus portano dietro: Atención, frenos potentes! O un negozio di piume: Plumeros para militares y confederaciones. O la traduzione delle opere di Marcel Proust, nella vetrina di un libraio: En busca del tiempo perdido. Come tutto è solenne, semplice, ammonitore! La lingua spagnola è baritonale, piena, esce dal cuore, si finisce per amarla. E come dimenticare il disperato richiamo della venditrice di tabacco, la notte davanti al cinema? - un richiamo gettato a brevi intervalli come un grido insostenibile di dolore: Hay tabaco! - Da tutto questo io deduco che sono un pessimo viaggiatore: di ogni nuova città mi resta solo un ricordo futile e straziante.

Una ragazza si butta dal quarto piano; lascia pulita e in ordine la cucina: è pagata per questo. Una signora, prima di gettarsi nella tromba dell'ascensore, si toglie le scarpe nuove e le lascia sul pianerottolo: perché sciuparle? Un'altra signora si spara nella vasca da bagno: inutile sporcare i pavimenti. Un soldato si uccide, gli trovano in tasca un biglietto: «Signor Capitano, mi uccido e non so il perché scusi il disturbo.» Ciò che commuove di queste uscite èla delicatezza dei protagonisti, che sfiora il ridicolo, nella presunzione di evitare un piccolo fastidio a quelli che restano. Insomma: sono i migliori, che se ne vanno.

domenica 6 maggio 2012

Gesualdo Bufalino

Dicono gli atlanti che la Sicilia è un'isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d'onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto di isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. 
Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. 
Vi è una Sicilia "babba", cioè mite fino a sembrare stupida; una Sicilia "sperta", cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. 
Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell'angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale. Una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliante delirio...

giovedì 3 maggio 2012

Marcel Proust

I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell'affievolirsi, li allenta; e, nonostante l'illusione di cui vorremmo essere le vittime, e con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L'uomo è l'essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé medesimo, e che, se dice il contrario, mente.

È più ragionevole sacrificare la propria vita alle donne piuttosto che ai francobolli, alle vecchie tabacchiere, perfino ai quadri e alle sculture. L'esempio delle altre collezioni dovrebbe però ammonirci a cambiare, a non avere una sola donna, ma molte.

Qualsiasi essere amato – anzi, in una certa misura qualsiasi essere – è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia.

E l'orrore degli amori che solo l'inquietudine ha generato viene dal fatto che giriamo e rigiriamo senza posa nella nostra gabbia discorsi insignificanti; senza contare che raramente gli esseri per i quali li proviamo ci piacciono fisicamente in maniera completa, poiché a sceglierli non è il nostro gusto, ma il caso di un minuto d'angoscia, minuto indefinitamente prolungato dalla nostra debolezza di carattere, che ogni sera rifà esperienza e si abbassa a cercare dei calmanti.

Uno dei poteri della gelosia, consiste nel rivelarci quanto la realtà dei fatti esterni e i sentimenti dell'anima siano qualcosa di ignoto che si presta a molte supposizioni. Crediamo di sapere esattamente le cose e quel che pensano le persone, per la semplice ragione che non ce ne preoccupiamo. Ma non appena abbiamo il desiderio di sapere, come chi è geloso, allora tutto si trasforma in un vertiginoso caleidoscopio, in cui non distinguiamo più nulla.

Soltanto grazie all'arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, lo vediamo moltiplicarsi, e quanti più sono gli artisti originali, tanti più mondi abbiamo a disposizione, diversi gli uni dagli altri più di quelli che girano nell'infinito, e che, molti secoli dopo che si è estinto il focolare da cui emanavano, si chiamassero Rembrandt o Vermeer, ci inviano ancora il loro caratteristico raggio di luce.

Le opere, come nei pozzi artesiani, salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore.