venerdì 14 settembre 2012

Il mercato delle vacche

Queste elezioni regionali sono elezioni di austerità, un'austerità che cozza con lo status stesso della Regione Sicilia. Sappiamo tutti molto bene quanto ci si possa arricchire facendo il parlamentare regionale e quanto potere si abbia nei fatti raggiungendo quella poltrona. Pertanto ciò che contrasta è il disagio reale dei siciliani con il privilegio indiscusso di coloro che stiamo andando a votare. In pratica col nostro voto stiamo regalando un biglietto di felicità per cinque anni almeno, mano libera ad affari personali e compromessi, il tutto col nostro tacito assenzo. Una contraddizione troppo vistosa, talmente vistosa che induce i candidati a parlare solo dal palco rassicurante delle televisioni, dove il pubblico non può esprimere dissenso e le domande sono sempre troppo buoniste...


Partiamo dai candidati alla presidenza. Da un lato abbiamo Crocetta, uomo dal passato politico di tutto rispetto, impegnato nel contrasto alla mafia sin da quando era sindaco di Gela. Oggi però si allea con l'UDC, lo stesso partito di Cuffaro, dovrei aggiungere qualcosa a tale contraddizione? La stessa operazione di facciata con cui si tira in ballo Musumeci per la destra berlusconiana, che come nella migliore tradizione degli ex missini ci si ricicla anche con la gente più ambigua. Poi c'è il cocainomane Micciché candidato del Grande Sud, Fava per Sel (persona di indubbia cultura e capacità), Cancellieri per M5S e altri.


Ma ciò che mi ha colpito guardando i manifesti pubblicitari è l'assenza del simbolo dei partiti di appartenenza nei candidati principali. Né Crocetta, né Musumeci mostrano un simbolo di partito sul manifesto e cosa assurda hanno i colori invertiti: Crocetta mostra il blu tipico della destra, Musumeci il rosso della sinistra, mentre Micciché usa la stessa cravatta arancione di Crocetta. Ma siamo fuori?


Oltre ai presidenti c'è la farsa dei candidati. Anch'essi in molti casi non hanno il coraggio di mostrare la loro appartenenza politica e compaiono in tutta la loro ipocrisia. Elencando i nomi di Pippo Gianni (l'immortale), Marziano, Vinciullo, Bufardeci, Gennuso (con tutti i problemi con la giustizia ci riprova ovviamente), Cappadona (ma non vuole fare il sindaco di Siracusa?) e gli aspiranti come Mangiafico (candidato nel partito del plurinquisito Saverio Romano), Bastante che propone manifesti di dubbia efficacia e molti altri che francamente non ricordo e non ho approfondito...

Tutti questi nomi perpetuano modalità note, idee già vecchie e logiche atte a mantenere lo status quo, dato che gli stessi politici sono dentro a meccanismi con cui sopravvivono. Personalmente sono convinto di una cosa, in questa tornata vincerà Crocetta. I giochi sembrano fatti perché assomigliano agli stessi giochi che in precedenza hanno portato la Finocchiaro a far finta di battersi contro Lombardo, e ai tempi dello scontro tra la Borsellino e Cuffaro al PD ad essere tiepido. Oggi le condizioni si sono invertie e la stampella politica passa alla sinistra... 
Pertanto il mio voto atto a rompere questa logica verterà sull'unica alternativa possibile: il Movimento 5 Stelle.

La pagliuzza che chiunque mi legge potrà sollevare in seno alle polemiche degli ultimi giorni, non sarà mai tanto incisiva quanto le travi e le gravi corresponsabilità che la politica tutta ha portato avanti per troppi anni. Lo stato di disagio e il deficit di bilancio regionale sono figli di questa gente. Pertanto solo persone sganciate da queste logiche, solo ragazzi fortemente motivati al miglioramento delle proprie condizioni e la passione per il loro territorio, potrà mettere all'angolo questa gente. 

Questo espormi verrà visto da chi mi legge come il frutto di un ipotetico tornaconto personale, o dato da un'oscura ragione che mi conduce in questo terreno... Il mio invece è lo sfogo di chi vorrebbe persone oneste alla regione. Ma a questo ragionamento dobbiamo fare i conti con quell'enorme numero di concittadini che per una ragione o per un'altra perpetueranno i volti dei soliti noti. Così tra poco più di un mese torneremo a leggere i commenti vacui e le promesse inutili, mentre si aggrava il declino della nostra martoriata e squallida terra.

sabato 18 agosto 2012

Quel senso di inadeguatezza

19 ottobre 2011
Una delle caratteristiche peculiari della struttura neuronale del nostro cervello è senza dubbio la capacità plastica, ossia quella capacità di adattarsi ed evolversi in base alle condizioni di vita cui è sottoposto. Per questa ragione dopo un certo lasso di tempo ci adattiamo a tutto (o quasi): il carcerato alle condizioni di prigionia, lo sfollato a vivere in una baracca, il licenziato a cambiare lavoro, il precario a subire le dure regole contrattuali e così via. Ci adattiamo dunque, magari dopo aver attraversato una fase intermedia di stabilizzazione e sofferenza, raggiungendo alla fine un nuovo stile di vita. Ma se per un attimo riuscissimo a rompere la consuetudine con cui ci adattiamo a ciò che avviene quotidianamente magari riusciremo ad avvertire, con vivida consistenza, un sentimento forte che emerge in fondo ad ognuno di noi: quello dell'inadeguatezza.
E' incredibile pensare come dopo una miriade di scandali, più o meno gravi, più o meno fondati questa classe politica continui indisturbata a perpetuare se stessa. Non parlo solo del governo Berlusconi che ci indurrebbe ad intraprendere un discorso di parte, ma della politica tutta. Se la guardiamo nella sua interezza, se confrontiamo ciò che dicono, ciò che fanno, ma soprattutto come si rapportano al cittadino comune, non possiamo non giungere alla conclusione che essi siano inadeguati e che solo la nostra capacità di sopportazione-adattamento ne consente il tacito mantenimento.
Se valutiamo quanto sta accadendo all'economia globale dopo il crollo del 2007 emerge chiaramente come i grandi finanzieri “giochino” con i soldi dei cittadini ricattando gli stati nazionali, condizionandone le politiche e le nostre vite, continuando tuttavia ad agire indisturbati. Abbiamo ormai tutti compreso come siano proprio loro la principale causa del caos economico, forti di una colpevole anarchia legislativa in campo economico. Per questo motivo il capitalismo odierno è palesemente inadeguato.
Qualche giorno fa ho acquistato in uno Starbucks un cappuccino, che (ahimè) ti servono in un bicchiere di carta chiuso da un coperchio di plastica. Sedutomi al tavolo ho aperto il coperchio e l'ho gettato via: durata media del suo utilizzo 30 secondi. Sicché ho pensato (vincendo l'adattamento che il mio cervello fa a certi gesti quotidiani) ciò che sarebbe avvenuto a quel pezzo di plastica. Nel migliore dei casi verrà riciclato o forse finirà in una discarica o incenerito dopo una vita utile di pochi secondi. Questa impostazione culturale che fissa negli oggetti un rapporto di usa e getta determina ovviamente un spreco mostruoso di energia che si ripercuote nella sostenibilità dell'ambiente. Estendendo questo discorso a migliaia di altri esempi che costituiscono poi il paradigma della nostra epoca, non si può non giungere ad un gravoso senso di inadeguatezza.
In passato abbracciando gli idealismi, le filosofie e le religioni abbiamo sperato in un mondo migliore, oggi delusi dal fallimento di tutti quei principi che hanno mostrato limiti e storture, ripiombiamo nell'incapacità di prendere posizione perché non ne vediamo più una... Così sopravviviamo accettando con stoica rassegnazione quanto ci viene imposto da altri. Accettiamo pure il ritorno alle regole ottocentesche imposte dalla FIAT di Marchionne, la precarizzazione delle esistenze dei più giovani, la volgarizzazione del linguaggio comune, la apar. idee alstmoderna, l'imbarbarimento collettivo degli italiani, l'ansia come regola di vita, la sfiducia aprioristica verso il prossimo e via discorrendo… Ci siamo adattati senza battere ciglio, accettando tutte le contraddizioni e le assurdità di questa epoca contemporanea. Ma se per un attimo usciamo dagli schemi precostituiti del nostro cervello forse riusciremo ancora a percepire quanto la nostra vita stia cadendo verso l'infelicità, ma soprattutto verso un'inconsapevole senso di inadeguatezza.

I miei post su Linkiesta

Chi mi segue su questo blog saprà che esso contiene articoli e pubblicazioni, anche datate, su riviste o semplicemente vergate di mio pugno. A questo lungo elenco di cose aggiungo l'attuale collaborazione con il giornale online Linkiesta dove ho un blog dall'omonimo titolo "Appunti e disappunti". I contenuti in questo caso sono diversi da quelli di questo blog, perché più orientati in chiave sociale.

Per consentire a tutti di ritrovarli, oltre al modulo a destra che riporta gli ultimi post su Linkiesta, aggiungerò da oggi tutti i post. Buona lettura...

martedì 14 agosto 2012

Un sogno irrealizzabile

Questa estate sono stato in vacanza in Svezia (non temete non comincerò con i soliti confronti tra quella nazione e Siracusa!) e ho avuto l'opportunità di visitare un villaggio vichingo, intendo la ricostruzione di un villaggio storico con tanto di persone che scelgono di vivere lì per tutta l'estate in costume dell'epoca. Una bella idea che valorizza lo stile di vita e la storia di quel popolo. Quando sono rientrato ho subito pensato, ovviamente, a ciò che si potrebbe realizzare dalle nostre parti...

Siracusa è una città molto legata alla sua storia greca, una storia che la gente ignora e non conosce fino in fondo. Oltre tutto la città stessa non valorizza a sufficienza questo grande patrimonio. Sarebbe fantastico immaginare un vero e proprio villaggio greco, una ricostruzione in piccolo di ciò che era la vita dei greci di Sicilia duemila anni fa. Un villaggio greco, con costumi d'epoca, case e templi feticci, desterebbe molto interesse tra i turisti e darebbe respiro alla cronica carenza di posti di lavoro. Molti ragazzi potrebbero lavorare per sei mesi l'anno e apprendere tutto della vita quotidiana dei loro avi.

Con quali soldi si dovrebbe realizzare questa idea vi chiederete voi? Bella domanda. In un paese normale dovrebbe pensarci il Comune, la Regione o la Provincia, ma in Italia e in special modo nell'apatica Siracusa questa idea è pressoché impossibile. Teoricamente un'idea simile potrebbe nascere da un imprenditore illuminato, non certo da uno dei tanti palazzinari che hanno appestato di villette la città, un imprenditore serio ma che dalle nostre parti manca.

Nel voler essere più realistici converrebbe bypassare tutti questi soggetti inutili e far da sé creando un comitato di cittadini che si occupi di questo progetto. Unendo le forze, tra coloro che conoscono la storia, chi ha competenze in ambito economico e chi in ambito tecnico, un buon progetto potrebbe essere portato avanti. Dopo una prima fase progettuale e organizzativa bisognerebbe muoversi per cercare finanziamenti che potrebbero venire da banche (mah, di questi tempi?), sponsor, fondi europei o persino fondare una cooperativa. Insomma chi più esperto di me potrebbe avere l'ultima parola in ambito economico e trovare delle risposte... Ma il vero problema è la volontà, quella stessa volontà che finora ha impedito di avere una statua di Archimede a Siracusa nonostante le spinte di un comitato cittadino.

Sarebbe bello pensare a più servizi ai turisti, più possibilità lavorative per gli stessi siracusani, se solo avessero un minimo di iniziativa. Ma comprendo bene che le immani difficoltà che il territorio mostra partendo dai freni politici e finendo alla disillusione individuale: "Qui non siamo in America" mi risponderebbero, è vero, ma è anche vero che nessuno ha voglia di inseguire dei sogni, accontentandosi della realtà e lamentando l'apatia altrui...

giovedì 9 agosto 2012

L’angelus – Jean-François Millet


28/5/2000
Nel tardo crepuscolo d’una vita di campi e colture, si ferma la fatica del giorno andato. La campana risuona alla preghiera, poiché i morti passati abbiano pietà di loro: soffusi in un’oscura preghiera, quasi a contemplare la morte del giorno andato.

martedì 24 luglio 2012

Pierre-Joseph Proudhon

‎Gli artisti lavorano invano se non si mettono in rapporto diretto e intimo con la coscienza del proprio secolo [...] trascurata questa condizione essenziale, l'arte, senza oggetto, senza scopo, senza ragione, senza direzione, senza criterio, finisce per degradarsi e non essere più arte; è una bambinata.

lunedì 23 luglio 2012

Siracusa ed il suo territorio, devastazione. Di Giuseppe Fava (1925-1985)


"Rubo" da internet un articolo significativo sulla storia recente di Siracusa scritto dal grande Giuseppe Fava con un piglio letterario e una bellezza descrittiva struggente. Chiedo venia per gli errori di battitura...


Ogni volta arrivo a Siracusa per parlarne male, l’animo gonfio di amarezza, delusione collera, disprezzo, e tutte queste cose ogni vola mi si il languiscono dentro e via via scompaiono per lasciare il posto alla tenerezza. Sono nella condizione umana di chi ha amato una donna, e la credeva carica di dolcezza, di languori, di malinconia e candore, e poi invece l’ha conosciuta traditrice e sporca, un poco ruffiana, preda di chi la pagasse di più e tutto il sentimento gli si è volto in odio, intenzione di trovarsela davanti e sputarle in faccia. E invece non è possibile poiché Siracusa è la mia adolescenza, cioè quell’età straordinaria e incantata dell’uomo quando, dalla fanciullezza si trascorre in un lampo alla gioventù, e improvvisamente le cose della vita appaiono tutte in una volta, proprio la vita si spalanca dinnanzi come se il tuo piccolo orizzonte fosse stato finora di carata e questa carta si stracciasse per tutta l’altezza del cielo e delle montagne, e di là apparisse un cielo veramente senza fine e montagne mai viste e città misteriose da conquistare: il piacere, l’amore, la libertà, la bellezza, la forza.

Così io fui a Siracusa in quei tre anni essenziali della mia esistenza e pur rivedendola ogni volta sfigurata, vecchia, devastata, con tutte le rughe che sono diventate piaghe, con tutti gli schifosi belletti, carne guasta, io vedo soltanto la ragazza che conobbi. Anzi soltanto il ragazzo che ero. Guardo la costa di Scala Greca e tuttavia non riesco a vedere i palazzi osceni che si stendono sul pianoro, gli orribili casermoni che schiacciano il promontorio, ma vedo soltanto la riva candida e deserta che conobbi, lo strapiombo bianco sul mare, e il mare così pulito, così trasparente e candido quel tratto si chiamava “l’acqua ‘e palummi”. Le rocce del fondo erano bianchissime, così frastagliate e taglienti che, nuotando sott’acqua, non potevano essere sfiorate, e tuttavia c’era una vegetazione di colori tenuissimi, quasi azzurra quasi rosa o gialla, talmente rigogliosa che stendeva dovunque un tappeto, e dall’alto delle rupi vedevi il disegno delle piccoli valli marine che via via si perdevano al largo. Nuotavi e i pesci ti sbucavano improvvisamente incontro da un anfratto o uno scoglio, migliaia in una volta come un lampo azzurro che ti sfiorava e subito spariva. Ora questo mare non ha più trasparenza, e del resto che potresti guardarci dentro? Pesci non ce ne sono più, le alghe sono morte per sempre, gli scogli sono soltanto lame di pietre annerite dal petrolio.

Cammino lungo il passeggio Adorno. La costa laggiù è devastata da capannoni industriali miserabili, ammucchiati alla rinfusa, depositi di laterizi, piccole costruzioni che sembrano brandelli di bidonville fin sulla riva, mucchi di rottami e spazzature.
La fontana Aretusa ha solo quattro steli di papiri al centro l’acqua della sorgente scorre grigia e deserta verso il mare. Il mare ha strane venature torbide, per tutta la vastità del porto.


Un piccolo piroscafo ansimante scivola verso la darsena, non c’è una barca o una vela per tutto il mare. Tutto è triste, sporco, inerte, e vedo invece questo porto come un lago immobile e azzurro, sul quale idrovolanti bianchi si posavano, con un ronzio da calabroni, le vele bianche e rosse vi correvano accanto, da una riva all’altra, fino alla foce dell’anapo con i boschi di papiri che arrivavano quasi sulla rena. UN bosco di papiri era anche la fontana Aretusa con i cigni che vi galleggiavano e migliaia di cefali d’ogni dimensione che risalivano dal mare per scivolare sui fondali d’acqua dolce. Poco più in là lo strapiombo della costa si affaccia su uno scoglio gigantesco. Ecco, da questo davanzale sul mare l’acqua appariva sempre immobile ed incredibilmente verde, quello scoglio, solcato da muschi e licheni, vi spuntava grigio come la groppa di un animale sottomarino. Bastava una brezza, un impercettibile incrinarsi del mare perché quel fantastico mostro trasalisse e quasi prendesse vita.

Si chiamava lo scoglio dei disperati poiché si diceva che quassù, si precipitassero coloro che avevano patito un tradimento d’amore. Ma in realtà i siracusano favoleggiano sulla loro stessa natura che era invece quiete e delicata, gli amori fatti di piccoli incantesimi, sguardi di occhi neri e l’animo così dolce e mansueto che non sarebbero mai uccisi per amore. La favola era però delicata, e il luogo così appartato e sognante, che era lecito fantasticarvi di grandi passioni. Ora lo scoglio ha perduto tenerezza verde, è la schiena mummificata di una balena. L’acqua grigia senza più erba sul fondo.

L’ufficiale sanitario dott. Mirone, che per alcuni mesi l’anno riveste anche a carica di medico provinciale, mia ha detto, che tutte le acque della costa siracusana sono inquinate da Augusta fino ad Avola: lungo la riva nord per gli scarichi delle industrie, e a sud dalla città per gli scarichi delle fogne. Giù oltre il capo Murro di Porco, oltre la minuscola insenatura Ognina, esisteva un piccolo golfo di bellezza senza eguali per la sua purezza, le colline dell’entroterra, grigie di ulivi, degradavano lievemente verso questo tratto di mare chiudendolo con un semicerchio di mandorleti. E, per tutto questo arco si stendeva una spiaggia di rena impalpabile e chiarissima che rendeva quasi bianca anche la trasparenza del mare. Fontane Bianche.
Non credo che esistesse in tutta la Sicilia un luogo dove il mare fosse altrettanto puro.
Qualcuno vi fece un piccolo stabilimento di baracche, poi un altro fece una casupola, un altro più ricco vi costruì una villa, centro metri più in là un’altra, poi dieci tutte in una volta, poi cento, cinquecento, migliaia.

Case, ville, palazzi, baracche, tuguri, una devastazione selvaggia, ognuno voleva la sua residenza marina quanto più vicina al mare, avvocati, medici, ingegneri, professori, giudici, architetti, commercianti, sensali, appaltatori, piccoli industriali, fu il festival ignobile della vanità borghese, ognun voleva anche che la sua casa fosse più alta e vistosa, con le ceramiche, le piante grasse, i cancelli, il garage, la terrazza, i termosifoni, la riva fu saccheggiata in un baleno, poi la lebbra si estese via via verso l’interno, scomparvero gli ulivi, i mandorli, non c’erano strade, non c’erano fogne, non c’era illuminazione, ma la devastazione sembrava inarrestabile, arrivarono anche i borghesi dall’interno della provincia, casa a Fontane Bianche divenne un distintivo di dignità civile, una forma di nuovo censo sociale, ognuno volle anche una barca, un motoscafo, un fuoribordo.

Sotto ogni casa c’era un pozzo nero per scaricare i rifiuti umani ed il liquame, gli edifici erano così vicino che spesso i pozzi neri si spaccavano ed entravano in comunicazione per crepe e fenditure. Quello che era uno degli angoli magici della costa siciliana venne distrutto. Sopra un termitaio, un viluppo ignobile di cemento; sotto una distesa di sterco che filtrava continuamente verso il mare.

Siracusa era una delle città più gentili e affascinanti d’Europa, aveva la malinconia di Venezia ma una luce più bianca, più alta; aveva il fascino delle città marine dell’Africa, ma era più candida e serena; aveva i resti mirabili del tempo greco, cioè l’investitura di una delle più grandi civiltà umana ed insieme però anche la grazie, le misteriose bellezze del seicento. E’ senza dubbio la città italiana che perduto la più grande occasione civile che, nella vita di una città, passa una volta ogni duecento o trecento anni. Perdonate la similitudine oscena ma soltanto dolorosa: Siracusa è una vecchia puttana sulla quale migliaia di sono accaniti con tutti i loro desideri più turpi, e le hanno contagiato tutti i loro orribili malanni, tutti i veleni. E’ malata per sempre. Il benessere l’ha fatta prostituire, le ha dato la sensazione di avere improvvisamente una ricchezza che non aveva mai conosciuto, e quindi l’ansia, una specie di pazzia, di godere di questa ricchezza prima che essa si palesasse un inganno. In realtà Siracusa era stata sempre povera, Mirabile e povera. Tutto per bene ma un po’ liso, rattoppato, con la malinconia e la dignità proprie dei poveri, i quali però non vogliono che altro se ne accorgano e li compatiscano. Il grande appuntamento mondano erano le feste classiche biennali, “edipo re”, “eschilo”, “euripide”, centomila forestieri che arrivavano con i cappelli di paglia, il re che arrivava con le gambette e si arrampicava al palco centrale sospinto per le natiche da prefetti pallidi di emozione.


Lo stabilimento balneare allo scoglio dei disperati, i bagni al lido Sacramento accanto alla foce dell’Anapo. Ci si arrivava con  i vaporetti bianchi dall’una sponda all’altra del porto, la squadra di calcio che infallibilmente batteva il Catania e rendeva felice una città, i caffè del vecchi centro, le sale da bigliardo come piccoli bagliori verdi nella straduzze medioevali, la messa della domenica con tutta la bene ordinata e in fila, il vestito scuro, le signore con cappelli a veletta, qualche timida villa sulle colline pietrose a nord dove una volta si estendeva la pentapoli, cinque città tutte insieme, un milione di abitanti, la più grande e potente città del mondo. La povertà, il decoro, la malinconia, i sogni.

Poi improvvisamente arrivò il benessere. Imprevedibile, secondo calcoli e speculazioni e diagrammi operativi a volte sordidi che partivano da migliaia di chilometri di distanza, e che i siracusano nemmeno intuivano. Così d’un tratto arrivò l’industri chimica: le ciminiere, le fiamme, i depositi, le petroliere, lo sviluppo frenetico delle iniziative, i trasporti, i servizi, le manutenzioni, le piccole industrie accessorie, i capitali sempre più vasti affluivano, il moltiplicarsi delle agenzie bancarie, dei posti di lavoro, degli alti salari, i nuovi commerci, i nuovi mercati.
Tutto accadde velocemente nel giro di pochi anni, quel mostro industriale sembrava non dovesse cessare mai di crescere, era una specie di cancro che si gonfiava sempre di nuove cellule per tutto l’immenso golfo da scala greca ad Augusta, un bisogno inesauribile di cemento, mattoni, ferro, asfalto, muratori, carpentieri, impiegati, camion, manufatti, tubi, personale specializzato. Al di là di quella che era la trasformazione ecologica del territorio di cui allora non si aveva nemmeno chiaramente concetto, era una realtà di migliaia di miliardi di cui solo una percentuale andava ai siracusani; ma basava perché improvvisamente una società povera e dignitosa fosse repentinamente stravolta da nuove necessità, ambizioni, avidità, desideri: anzitutto la casa per migliaia e decine di migliaia di immigrati, e per decine di migliaia di indigeni che volevano fuggire dai vecchissimi, traballanti palazzi del centro. E con le case i negozi, i commerci, i servizi, i cinema, gli impianti sociali, le chiese, i teatri, le ville al mare, le automobili, gli alberghi, gli stabilimenti balneari.


In quel tempo Siracusa era quasi tutta concentrata nell’antica isola di Ortigia dove esisteva l’essenziale, le residenze di prestigio, gli uffici, i negozi. Poi c’era la cosiddetta borgata, cioè un’appendice povera, quasi paesana, che arrivava fino al grande tempio si Santa Lucia, alla favolosa Villa Politi, ed alla cavità del teatro greco. Al di là il deserto, cioè un immenso pianoro lungo tutto lo strapiombo della costa, fino al dirupo marini di scala greca. Qui si sarebbe potuta costruire la nuova grande Siracusa, la città più moderna d’Italia, i grandi viali collegati da giardini e piazze,il lungomare panoramico, i centri commerciali e direzionali, le scuole. Era necessaria una mente lucida e, civile che avesse fantasia e amore per immaginare questa nuova splendida città.

Invece tutto accadde orridamente: i palazzi cominciarono a sorgere a mucchio prima ancora che ci fossero le strade, anzi le strade alla fine furono solo budelli vuoti fra un groviglio di palazzi, sempre più alti. Non si lasciò spazio per il verde, perle fognature, per i parcheggi, per i servizi. Nelle città del West, quando arrivava la moltitudine di colonizzatori, qualcuno almeno stabiliva: qua l’ufficio dello sceriffo, là il saloon, da questa parte le stalle per le diligenze, dall’altra la banca, questo spazio l’immondezzaio, quello per il cimitero, quell’albero per impiccare i ladri di cavalli quella baracca per l’ufficio del giudice, laggiù il bordello in modo che non si veda troppo, e al centro la chiesa. In mezzo a tutto una strada larga venti metri con una canaletta perché possano scorrere la pioggia e la pipì dei cavalli. A Siracusa nemmeno questo. Lungo l’ara che dalla zona archeologica sale fino al pianoro di scala greca, è sorta una mostruosità urbanistica. L’industria chimica sulla costa appare un cancro divorante, però concepito secondo misura logica, magari con diligente cinismo. La nuova rete urbanistica di Siracusa è un cancro di pietra e cemento, un ammucchiarsi di cellule impazzite per stupidità. In mezzo a questa definitiva devastazione sta per essere oramai soffocata anche la cittadella dello sport, l’unica autentica opera civile di livello europeo che Siracusa si sa saputa dare in questi ultimi anni. Ma in realtà fu il piccolo sogno realizzato da un uomo solo, Concetto Lo Bello, e quando in cima alla collina si levò la sagoma esile del trampolino, lo accusarono persino di avere deturpato gli orizzonti fatali di Ortigia. Già alle spalle centinaia di ruspe scavavano selvaggiamente fondamenta e fondamenta, spesso così vicine che gli ordigni si azzannavano come bestioni.

il siracusano vive in una città dove non esiste un albero, e per percorrere tre chilometri in auto ci vuole mezz’ora, e non c’è un posto dove archeggiare la vettura notte e giorno, e la sera quand’è scirocco l’aria diventa amara, si può masticare, gravida di infestazioni di particelle chimiche, ossidi, fluoro, azoto, zolfo, carbonio, polveri che svaporano da quelle migliaia di luci, quelle decine di altissime fiamme che per tutto l’arco marino fino ad Augusta. Il mare di Siracusa, il mare di tutte le leggende, il più trasparente e chiaro del sud, è quasi morto oramai. La vecchia isola di Ortigia con le stradine segrete, i suoi palazzi incomparabili, il rumore del mare, l’odore profondo del mare in ogni vicolo, le sue splendide facciate gialle volete verso il tramonto, è stata abbandonata da oramai. Era più malinconica e affascinante della giudecca veneziana, e non c’è più quasi nessuno. Appena cala la sera ogni luce si spegne, le vie diventano prospettive deserte, le grandi piazze sono solo spazi per il vento marino, il duomo con le colonne dell’antico tempio di Minerva, emerge nella luce dei riflettori come un fantasma, anche qui, sa qualche parte ci deve essere qualche giorno della mia adolescenza, ma non lo trovo …  E tuttavia la nostalgia mi rode, continuerò a cercare ….

venerdì 20 luglio 2012

Vincenzo Latina


Le Corbusier definiva l'architettura come: “…un fatto d'arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi. La Costruzione è per tener su: l'Architettura è per commuovere.” In queste parole si deduce quel valore aggiunto dell’architettura, cioè la differenza tra espressione artistica e costruzione; in realtà di questa forma d’arte ce ne ricordiamo sol quando, entrando in una chiesa barocca o in un palazzo nobiliare, improvvisamente restiamo come sospesi: ci commuoviamo appunto… 

Dalle nostre parti l’unica esperienza possibile con l’architettura è quella di un centro storico o di un monumento a pochi passi da casa: per questo motivo preferiamo sorseggiare un caffè nella scenografia d’una piazza barocca piuttosto che quella d’un anonimo bar di periferia. In Italia il legame profondo con l’antico, sembra aver ingenerato la collettiva ossessione della conservazione e dell’immutabilità, per questa ragione qualsiasi architetto italiano avverte enormi difficoltà nel trovare un committente che gli permetta d’esprimersi al meglio. Massimiliano Fuksas (l’architetto della nuova fiera di Milano e di Etnapolis) ha giustamente detto: “L'architettura non banale nasce dal rischio reciproco del committente e dell’architetto” il rischio appunto, il timore di “rovinare” ciò che gli avi avevano costruito con grande capacità; sicché quando un’Amministrazione come quella di Siracusa offre un’opportunità ad un giovane architetto, il nostro interesse inevitabilmente s’accende… Vincenzo Latina, già collaboratore di Francesco Venezia, poi docente presso la neonata facoltà di Architettura a Siracusa è artefice della rinascita della Corte ai Bottari, conosciuta soprattutto dai giovani della movida ortigiana. Il lavoro di recupero compiuto all’interno dell’area, già colma di detriti e di edifici pericolanti, è stato quello di trasformare l’ambiente in un luogo ospitale che mantenesse una sobria continuità di linguaggio col passato. Latina riprogettando gli spazi e ricollocando una parte delle preesistenti macerie, ha operato un’azione di riutilizzo, proprio come nei secoli passati è avvenuto per le altre costruzioni di Ortigia; inoltre l’elevazione di un muro in pietra arenaria, la posa d’una pavimentazione lavica e la creazione di un piccolo giardino di pietra, determinano un equilibrato richiamo tra antichi materiali e gusto contemporaneo. Filo conduttore dell’opera è lo stenopos, l’antica strada greca orientata in direzione est-ovest che tagliava l’area della Corte. Così con un richiamo alla grecità, essa è stata riproposta seguendo un asse che principia da una fontana sino all’angusto percorso che si collega al ronco dei Cassari. Il progetto, oltre al riscontro dei siracusani, ha vinto l’importante riconoscimento “Il Principe e l’Architetto”, premiando sia Vincenzo Latina che il suo committente (l’ex sindaco Bufardeci): un “rischio” andato indubbiamente a buon fine. 

Con questi presupposti sorge inevitabile l’attesa verso il nuovo progetto di riqualificazione del tempio ionico, sempre in Ortigia. Il progetto prevede la costruzione d’un padiglione d’ingresso al monumento, cerniera tra il suggestivo giardino di Artemide (all’interno del palazzo Vermexio) e la via Minerva; un lavoro certamente complesso, poiché ricade all’interno di un’area di grande valore storico su cui inevitabilmente si concentrerà l’attenzione critica dell’intera città… Latina però non ha operato solo con amministrazioni pubbliche ma anche con privati, realizzando il pregevole allestimento d’un locale commerciale. Utilizzando la planarità di pannelli colorati semitrasparenti, ha esaltato con rapporti di luce e design d’arredamento, l’estetica di ambienti fin troppo anonimi: un’idea davvero avanzata (ne abbiamo avuto riscontro), almeno per un pubblico siracusano ancora tutto da smaliziare. Sicché tra chiusure preconcette e inattese aperture, anche la nostra città sembra scoprire l’estetica di forme e valori che un domani potremmo persino fregiarci d’aver scioccamente sottovalutato...

mercoledì 11 luglio 2012

La nascita di Venere – Alexandre Cabanel


28/5/2000
Sorge come provocante visione nel candore perlaceo del corpo aggraziato. Languida, perché il dolce riposo l’animi d’infinita deità: Venere, dal mare sorge in un tranquillo giorno d’immortale espressione. 

lunedì 21 maggio 2012

Le dieci regole del controllo sociale

Noam Chomsky non è solo un linguista, un filosofo e un teorico della comunicazione americano, è soprattutto un uomo impegnato dell'interpretazione della contemporaneità e nel sociale. In questo video vengono lette le Dieci regole del controllo sociale, ossia ciò che il potere (governi e lobby economiche) che Antonio Negri definisce semplicemente Impero, per mantenere in vita se stesso.
L'elenco e la spiegazione dei singoli passaggi sembra perfettamente aderente alla realtà italiana e alla sua storia recente. Chi segue e conosce questi fatti troverà assolutamente familiari tali "regole".

La comprensione di questo video aiuta certamente a comprendere il complesso momento storico che la nostra nazione sta affrontando: dal post-berlusconismo alle nuove tensioni sociali, e da ultimo la bomba alla scuola di Brindisi.


venerdì 18 maggio 2012

Ennio Flaiano

Niente di più triste di un artista che dice: «Noi pittori» oppure: «Noi scrittori»; e sente la sua mediocrità protetta e confortata da tutte le altre mediocrità, che fanno numero, società, sindacato.

Dio ci ama (ne abbiamo continue prove); vuole però essere contraccambiato. Io, se mi decidessi ad amarlo, lo amerei senza chiedergli nulla. Il mio difetto è la generosità, il disinteresse.

...e le insegne. Niente mi ha dato più gioia, se si eccettua il Prado, di un cartello trovato in un locale notturno: En caso de incendio, no alamarse. O l'insegna di un'ostetrica: Encarnación Gutiérrez, profesora en parto. O l'insegna scritta sul muro bianco di una caserma: Se prohibe terminantemente hacer agua. O il cartello di un veterinario: Consulta para aves, monos, gatos y perros. O la semplicità sintattica dei cartelli sulle case in vendita: Se vende esta casa. O l'avviso che gli autobus portano dietro: Atención, frenos potentes! O un negozio di piume: Plumeros para militares y confederaciones. O la traduzione delle opere di Marcel Proust, nella vetrina di un libraio: En busca del tiempo perdido. Come tutto è solenne, semplice, ammonitore! La lingua spagnola è baritonale, piena, esce dal cuore, si finisce per amarla. E come dimenticare il disperato richiamo della venditrice di tabacco, la notte davanti al cinema? - un richiamo gettato a brevi intervalli come un grido insostenibile di dolore: Hay tabaco! - Da tutto questo io deduco che sono un pessimo viaggiatore: di ogni nuova città mi resta solo un ricordo futile e straziante.

Una ragazza si butta dal quarto piano; lascia pulita e in ordine la cucina: è pagata per questo. Una signora, prima di gettarsi nella tromba dell'ascensore, si toglie le scarpe nuove e le lascia sul pianerottolo: perché sciuparle? Un'altra signora si spara nella vasca da bagno: inutile sporcare i pavimenti. Un soldato si uccide, gli trovano in tasca un biglietto: «Signor Capitano, mi uccido e non so il perché scusi il disturbo.» Ciò che commuove di queste uscite èla delicatezza dei protagonisti, che sfiora il ridicolo, nella presunzione di evitare un piccolo fastidio a quelli che restano. Insomma: sono i migliori, che se ne vanno.

domenica 6 maggio 2012

Gesualdo Bufalino

Dicono gli atlanti che la Sicilia è un'isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d'onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto di isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. 
Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. 
Vi è una Sicilia "babba", cioè mite fino a sembrare stupida; una Sicilia "sperta", cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. 
Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell'angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale. Una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliante delirio...

giovedì 3 maggio 2012

Marcel Proust

I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell'affievolirsi, li allenta; e, nonostante l'illusione di cui vorremmo essere le vittime, e con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L'uomo è l'essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé medesimo, e che, se dice il contrario, mente.

È più ragionevole sacrificare la propria vita alle donne piuttosto che ai francobolli, alle vecchie tabacchiere, perfino ai quadri e alle sculture. L'esempio delle altre collezioni dovrebbe però ammonirci a cambiare, a non avere una sola donna, ma molte.

Qualsiasi essere amato – anzi, in una certa misura qualsiasi essere – è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia.

E l'orrore degli amori che solo l'inquietudine ha generato viene dal fatto che giriamo e rigiriamo senza posa nella nostra gabbia discorsi insignificanti; senza contare che raramente gli esseri per i quali li proviamo ci piacciono fisicamente in maniera completa, poiché a sceglierli non è il nostro gusto, ma il caso di un minuto d'angoscia, minuto indefinitamente prolungato dalla nostra debolezza di carattere, che ogni sera rifà esperienza e si abbassa a cercare dei calmanti.

Uno dei poteri della gelosia, consiste nel rivelarci quanto la realtà dei fatti esterni e i sentimenti dell'anima siano qualcosa di ignoto che si presta a molte supposizioni. Crediamo di sapere esattamente le cose e quel che pensano le persone, per la semplice ragione che non ce ne preoccupiamo. Ma non appena abbiamo il desiderio di sapere, come chi è geloso, allora tutto si trasforma in un vertiginoso caleidoscopio, in cui non distinguiamo più nulla.

Soltanto grazie all'arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, lo vediamo moltiplicarsi, e quanti più sono gli artisti originali, tanti più mondi abbiamo a disposizione, diversi gli uni dagli altri più di quelli che girano nell'infinito, e che, molti secoli dopo che si è estinto il focolare da cui emanavano, si chiamassero Rembrandt o Vermeer, ci inviano ancora il loro caratteristico raggio di luce.

Le opere, come nei pozzi artesiani, salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore.

sabato 28 aprile 2012

Giuseppe Piccione



Sono stufo, lo ammetto, stanco d’assistere al proliferare di inutili vernissage e mostre in pompa magna dal contenuto piuttosto scadente. Sono stanco, consentitemi lo sfogo, della “gerontofilia” artistica, dei talenti costruiti a tavolino e dei troppi dipinti da salotto; sarà un pregiudizio o l’accorata sfiducia verso le tendenze “moderniste” della nostra terra, sarà, ma a volte capita d’incontrare altre storie… Il perché di questa premessa risiede nella scoperta personale d’un artista come Giuseppe Piccione, figlio di un’epoca che vuol guardare molto avanti. Le sue opere infatti parlano del presente, di un presente vissuto senza stereotipi o collocazioni geografiche e d’un esistenza urbana fatta di mille volti: per questa ragione la sua ultima ricerca prende il nome di Love Street. Ma andiamo con ordine… 


Tutto cominciò all’età di diciannove anni grazie alla visita di un’esposizione d’arte contemporanea (una tra le prime a Siracusa) che imprevedibilmente lo folgorò sulla via di Damasco; immediata sorse una fascinazione, tra installazioni ed oggetti appartenenti ad un nuovo concetto creativo. Così grazie anche all’esperienza universitaria iniziò il suo percorso artistico, un percorso fatto di successi e grandi soddisfazioni: come la partecipazione a mostre di respiro internazionale a fianco di nomi del calibro di Mario Schifano, Vivienne Westwood, Andy Wahrol e Christo. Una partenza alla grande che gli permise di realizzare diverse opere su committenza ed esposizioni Side Specific, realizzate cioè tenendo conto del luogo stesso in cui venivano collocate. Segue un curriculum di collaborazioni con registi, stilisti, gallerie d’arte e collezionisti, il mondo dell’arte così s’accorge delle idee e delle affascinanti opere del giovane artista: dedito da sempre alla fotografia, sceglie da ultimo questa forma espressiva per la realizzazione del suo progetto Love Street appunto. Sfruttando le immense potenzialità della fotografia digitale, Piccione estrae dai volti e dai segni di vita urbana la rappresentazione dell’amore, inteso come legame esistenziale con gli atti d’ogni giorno. In questo modo egli riproduce, come in una fabbrica d’immagini, i diversi aspetti dell’esistenza: in Dolls scopriamo i ritratti inquietanti di donne-bambola del tutto spersonalizzate, prive di sentimento quasi fossero oggetti di mero consumo; così come le Street Doll, manichini umanizzati dal contrasto di simboli e graffiti. Per non parlare della serie Enfant e Femme i cui volti di bambini e donne s’amalgamano nelle sovrapposizioni di colori dalle tonalità accese e da iconici cartelli stradali. 


Dove collocare tutto ciò se non nel richiamo primigenio della Pop Art? E’ questa probabilmente la chiave di volta che ci permette di avvicinarsi all’arte multimediale di Piccione; dimentichiamo per una volta i mille anni di pittura, le invenzioni coloristiche degli espressionisti o i collage multidimensionali dei primi cubisti: questa è arte contemporanea, Signori, qualcosa che non riusciamo a metabolizzare nell’immediato se non nella vertigine d’un linguaggio più complesso per noi uomini, greci d’antico retaggio... L’artista contemporaneo è questo, colui che mostra un linguaggio universalmente apprezzato, perfettamente collocabile su di una parete del MOMA di New York, del Centre Pompidou di Parigi e persino della più modesta Galleria Montevergini in Ortigia: per questa ragione la sua arte trova un crescente seguito ad ogni nuova esposizione, distinguendosi per profondità e potenza; un’arte che nasce da dentro, da un’ispirazione istintiva da cui dipartono le mille sfaccettature di un presente sempre più complesso.

mercoledì 28 marzo 2012

Occupy Vermexio


Quando confrontate le condizioni di vita e dei servizi della nostra città, non si può non affermare che essa sia retta da perfetti incapaci. E' fin troppo palese il disinteresse con cui gli amministratori locali hanno trattato e trattano la città. A parte alcuni interventi passati come diverse opere di riqualificazione (certamente frutto di buona volontà e impegno), la quantità dei disservizi e le assurdità che vediamo giornalmente è fin troppo enorme.

Inutile elencare tutte le opere pubbliche abbandonate, le strade non manutenzionate o il degrado di certe zone, li conosciamo. Ciò che diviene problematico è affrontare i problemi così grandi e gravi in modo da ribaltarne l'odierna situazione. Ma per fare ciò ci vorrebbero persone realmente capaci e motivate e una visione d'insieme che appare del tutto utopica.

Quando rifletto sui problemi della nostra città rifletto a come essi inevitabilmente ricadano su ogni azione quotidiana. Sugli alti tassi di disoccupazione, sulle imposte comunali, sull'assenza di mezzi pubblici o su quel senso di fatalismo che ci pervade ogni qual volta speriamo in un mutamento. Ma tutto potrebbe avere dei risvolti imprevisti che vi fosse uno scatto d'orgoglio, una reale volontà popolare di ribellarsi allo status quo delle cose. Quando si leggono gli stipendi da sogno dei dirigenti comunali, rapportati al tenore di vita della maggioranza dei cittadini, ci si sente presi davvero in giro. Ma davvero siamo così stupidi da tollerare alte paghe a persone che non fanno il loro mestiere? Davvero permettiamo che i consiglieri comunali abbiamo uno stipendio a fronte di un'imbarazzante incapacità che fin troppo spesso li qualifica?

Per modificare ciò sarebbe utile prendere coscienza dell'enorme presa in giro che subiamo, dovremmo conoscere meglio i fatti, ma soprattutto i misfatti perpetrati a nostro danno: vi dice nulla il villaggio alla Pillirina? O le costruzioni a ridosso delle mura Dionigiane? Chi amministra la città fa i nostri interessi o quelli di pochi privati? Se queste domande davvero circolassero tra le persone, comincerebbero ad apparire in città striscioni di lamentela, rivendicazioni legittime e sit in di protesta. Invece ci si riunisce per passeggiare o si leggono solo gli striscioni che invitano ad andare allo stadio...

Nascerebbe così un movimento spontaneo, come quello americano che farebbe riflettere un po' tutti su come siamo giunti a questo proprio a causa del nostro menefreghismo. In internet ci si organizzerebbe in un numero sempre crescente di attivisti che toglierebbero il sonno dei tranquilli amministratori e del sindaco in primis. Spunterebbero crescenti azioni di protesta, nelle piazze e nelle vie finendo col definirsi un movimento di cittadini che invaderebbe pacificamente il Vermexio: Occupy Vermexio si chiamerebbe. E gli slogan americani rimbalzerebbero anche a piazza Duomo: "noi siamo il 99% loro l'1", oppure "ridateci la nostra città"...

Una protesta più seria di quella dei Forconi, più sentita e magari composta da persone consapevoli: studenti, cittadini e pensionati stanchi di pagare loro il disinteresse e l'inefficienza di altri. E forse solo dopo aver bloccato gli edifici pubblici, aver protestato contro i singoli provvedimenti e le tasse della vergogna, magari qualcosa potrebbe mutare. Improvvisamente i dirigenti strapagati del comune farebbero il loro lavoro e si occuperebbero di risolvere certi problemi, pressati come sarebbero da un'opinione pubblica che li lincierebbe in caso contrario: si avvierebbe la raccolta differenziata, pagheremmo meno TARSU, ci sarebbero meno ingorghi e via discorrendo...

Ma in fondo il nostro individualismo è la loro fortuna, la nostra disunità, l'apatia e la rassegnazione sono i mezzi con cui questi signori proseguiranno a lungo indisturbati la loro squallida esistenza. E noi dal canto nostro continueremo a lamentarci senza che nulla concretamente cambi.

domenica 25 marzo 2012

Tempesta – Jacob van Ruisdael



27/5/2000
Mare nel delirio di spuma e salsedine come la forza del vento che spira impetuoso. Grigi sospiri d’onde trascinano vascelli in tempesta. Nubi maestose, nel turbine chiassoso d’ombre divelte.

venerdì 24 febbraio 2012

Apriamo gli occhi

Negli ultimi anni il gap tra l'informazione ufficiale e quella più sotterranea è divenuto consistente, per questa ragione prediligo personalmente una ricerca di fonti via internet che condividerò man mano.

Seguo da un po' di tempo il giornalista Giulietto Chiesa e per quanto ciò che dice appare sovversivo e bizzarro, a mio avviso fa riflettere. Proprio come lui afferma, è necessario ascoltare questi punti di vista e documentarsi ulteriormente per giungere a una propria verità.

Il filmato è estratto da una conferenza e parla di oggi, e di come la situazione economica e sociale si stia avviando a drammatiche conseguenze.



mercoledì 8 febbraio 2012

L'inevitabilità della bicicletta


Da qualche mese ho sposato la filosofia della Decrescita Felice, un concetto cui dedicherò un post in futuro. Tra i cambiamenti che ho adottato vi è l'uso della bicicletta per spostamenti di quartiere: comprare il pane, fare la spesa, andare in palestra ecc. Per fare ciò ho munito la mia bici di tutto il necessario affinché possa divenire uno strumento comodo. Così ho montato dei parafanghi, una luce posteriore di sicurezza e un utilissimo cestino portapacchi. 
L'idea di questo cambiamento è nata dopo un viaggio in Olanda, paese dove la maggior parte degli spostamenti avviene in bicicletta. Uno spostamento agevolato soprattutto dall'assenza di salite e da strade dedicate, perché nella maggior parte del tempo il clima è freddo, piove o c'è vento. Eppure per le strade vedi più biciclette che auto. Per questo la vita degli olandesi è scandita da spostamenti meno stressanti. 

Memore di questo stile di vita da qualche mese ho iniziato anche io a fare lo stesso. Mi sono chiesto: perché in una città come la nostra, non sia possibile attuare ciò? Tra l'altro non abbiamo le stesse temperature e la neve... 

La cosa che ho notato è che l'uso della bicicletta, per fortuna, si sta diffondendo a causa del costo della benzina. Sempre più spesso si vedono persone usarla. Tra l'altro i tempi necessari per giungere da un punto all'altro, se parliamo di pochi chilometri, è equivalente a quello dell'auto. Non esistono problemi di parcheggio e si arriva direttamente davanti al luogo di destinazione. Ci si accorge anche di come siamo disabituati al movimento perché le prime volte ci si sente stanchi pur avendo fatto pochi chilometri.

Tuttavia si notano anche le enormi difficoltà. La bici non è considerato un mezzo di trasporto, semmai un passatempo, per questo motivo la gente ti guarda stranita... Tra le strade devi essere abile a destreggiarti nel traffico perché le auto si rapportano ad altre auto, ovviamente. La bici non ha mai precedenza, quando altrove è valorizzata. Non ci sono piste ciclabili, quindi non ci si sente sicuri tra le auto, le strade sono delle gruviere e non esistono posti per legare la bici. Sicché un vantaggio diviene uno svantaggio.

In una città come la nostra che non ha mai concepito il trasporto su bici se non per rubare soldi alla collettività, come il sistema gobike, la vita non è affatto facile. I sindaci che si sono succeduti non hanno mai pensato a questo mezzo di trasporto in termini reali. Non è possibile andare ad una fermata dell'autobus e lasciare la bici, non ci sono rastrelliere, non ci sono spazi dedicati: nulla.

Ma questa grave carenza non deve scoraggiare. La benzina a 1,7 euro al litri è la manna dal cielo per chi ancora non ha raggiunto la consapevolezza del cambiamento. Nel tempo il singolo stile di vita può divenire uno stile di vita imitato, condiviso e sempre più diffuso. Spiegare i vantaggi agli altri e mostrarli permetterà l'avvio di un processo inevitabile. E i futuri sindaci, di sicuro saranno costretti a tenerne conto...

venerdì 6 gennaio 2012

Caillebotte - La Place de l'Europe, temps de pluie (1877)


A mio avviso Caillebotte è un artista fin troppo sottovalutato. Eppure tra gli impressionisti un quadro come questo non sfigura, anzi la bellezza si estrinseca nell'effetto del bagnato della strada e nel gioco di ombrelli. L'inquadratura, come una fotografia, lo rende un soggetto realista ma nel contempo lascia il margine del ricordo della Belle Epoque...