mercoledì 31 agosto 2011

L'anomalia della normalità

Facciamo un piccolo test? Vi chiedo di radunare mentalmente tutte le persone che conoscete: amici, parenti, colleghi ecc. Di tutte queste persone quante, secondo voi, potete considerarle individui equilibrati, esenti cioè da stranezze, ragionamenti o comportamenti fuori luogo? Personalmente ne ho contati una decina, su un numero enormemente maggiore di persone che più o meno conosco. La mia risposta sicuramente si avvicina a quella vostra, se vi concentrate e scremate tutti i conoscenti vi accorgerete che il numero di coloro che potete "salvare" è davvero esiguo. Ed è a questo punto scatta la mia domanda: ma è normale tutto ciò? E' normale cioè riscontrare che la maggioranza delle persone che conosciamo possiede uno o più elementi che rendono l'individuo non perfettamente equilibrato?

In effetti quasi tutti gli individui mostrano qualcosa, nel loro carattere o nel loro comportamento, che non riusciamo assolutamente a comprendere: come se la loro "logica" fosse qualcosa di arcano. Quante volte vi è capitato di dire nei confronti di un uomo o di una donna: "inutile provare a capirci qualcosa, tanto non c'è una logica" oppure si tende a concludere superficialmente un discorso dicendo: "...tanto non è normale" e persino: "è fuori di testa".
Queste affermazioni a mio avviso nascono non solo dalla difficoltà di interpretare l'altro, ma da qualcosa di ben più profondo. Come tutti sappiamo molti dei nostri gesti provengono da impulsi dell'inconscio, da stimoli e necessità che dettano il passo alle nostre scelte razionali. L'assenza di certezze nella vita ad esempio potrebbe indurre una persona a legarsi morbosamente a qualcuno oppure ad amplificare questo comportamento nel tempo. Indubbiamente ad ogni comportamento "bizzarro" c'è una ragione interiore, ma certamente stupisce l'enorme quantità di comportamenti "strani" nelle persone che conosciamo.

I casi tipici che si riscontrano con assoluta frequenza sono i cambi repentini di decisione e di opinione, oppure la tendenza a giustificarsi anche laddove non vi è alcun appiglio. Seguono gli individui "indipendenti", quelli senza regola o orario, che considerano cioè solo se stessi e non gli altri. Poi gli egoisti, che antenpongono il proprio ego al resto delle persone, oppure gli iperapprensivi o di converso gli incoscienti... Queste particolarità comportamentali producono inevitabili contrasti tra le persone: chi è preciso odierà un "senza regole", un apprensivo si scontrerà con un incosciente o semplicemente con una persona che non bada troppo a determinate cose e via discorrendo. Sicché in una società che possiamo tranquillamente considerare affetta da vari disturbi psicologici, i pochi individui "sani" si trovano spiazzati, e la loro esistenza è assolutamente complicata. Infatti per riuscire a mantenere il passo con gli altri si è costretti a modificare (in parte) se stessi e divenire ciò che non si è e non si vorrebbe essere.
Così ho imparato a mie spese (non perché mi consideri meno "strano" degli altri) a non prendere certe affermazioni sul serio, oppure a non considerare gli appuntamenti con precisione. Spesso sono costretto a valutare le promesse di certe persone sicuramente disattese. Si aggiungano poi le "dimenticanze" che nascondono in realtà un cambio di opinione, e le risposte dubbie che fin troppo spesso rappresentano l'anticamera di una risposta negativa. 

In una quotidianità dominata da tali atteggiamenti ovviamente anche i rapporti interpersonali vengono messi alla prova. Il più delle volte è sufficiente "sintonizzare" il proprio comportamento con quello altrui, cercando di non forzare mai la mano su certi modi di fare: pena sentirsi additati d'essere persone rigide e intolleranti. L'equilibrio e la giusta ponderazione in ogni atto della vita è sicuramente assai difficile da riscontrare, e forse è per questa ragione che considero un'anomalia rapportarsi ad individui "normali", con idee, comportamenti e rapporti interpersonali impeccabili.

venerdì 26 agosto 2011

Le origini dell'astronomia

Stonehenge

 Sin dagli albori della civiltà l’uomo ha sentito l’esigenza di conoscere il mondo circostante e di comprenderne i processi che lo regolano; la conoscenza dei moti del sole, della luna, e dei pianeti ha destato particolare interesse sia per approfondire primitive convinzioni astrologico-rituali, sia per determinate il calendario e prevedere eventi astronomici quali eclissi ed equinozi.

Secondo alcuni studiosi la costellazione dell’Orsa Maggiore era già nota agli uomini vissuti 40-50.000 anni fa: lo dimostra l’esistenza di un culto legato ad essa. Le costellazioni infatti sono il primo riferimento nel cielo, con cui l’uomo ha unito scienza e mitologia. Questo antico legame è anche testimoniato dalle costruzioni megalitiche come il famosissimo monumento di Stonehenge, e le molteplici costruzioni sparse in tutto il mondo. La maggior parte di esse mostrano precisi allineamenti in base a determinati periodi dell’anno come gli equinozi e i solstizi, o persino la capacità di prevedere la posizione delle eclissi, svelando uno stupefacente grado di precisione. L’astronomia quindi fa parte dell’uomo, essa è la scienza con cui ha cercato la sua collocazione nell’Universo.

mercoledì 24 agosto 2011

Tallin


Cambia ogni consuetudine quando si giunge a Tallinn, poiché da una capitale ci si aspetta il fasto grandioso di monumenti ed edifici, piazze e viali a perdifiato; invece si resta abbagliati dal contrario, dal fascino discreto delle piccole distanze e dal raccoglimento di case e rioni: d’altronde da una nazione che conta poco più d’un milione d’abitanti, tutto diviene per forza di cose a misura d’uomo… Per questa ragione la città è riuscita sin da subito a scrollarsi il fardello di un’odiata dominazione sovietica, che a parte in un’etnia parzialmente integrata, s’imprime nella seconda lingua conosciuta e rinnegata da un po’ tutti gli estoni. Per questo motivo grazie ad una nuova giovinezza avara di libertà politiche ed economiche, la nazione baltica ha sviluppato su Internet un modello avanzato di democrazia e sviluppo.

Nella comunione tra un florido passato e un nuovo presente, emerge tra le stradine e le molteplici piazze medievali una continuità con le sue origini, laddove si commerciano oggi come ieri pelli ed ambre, vetri e tessuti di lavorazione artigiana. Così nell’invito di sorridenti dame, paggi e menestrelli in vena di musicar ballate, appare doveroso sostare presso la locanda “Olde Hansa”; immersi nell’oscurità di candele, preferiamo scegliere un menù di cacciagione: cervo affogato in cavolo acido, filetto al saccottino di spezie e stufato di maiale, necessariamente accompagnato da pane nero e vino della casa. Poi dopo un buon pranzo, si riprende il cammino verso la collina di Toompea, da cui s’affaccia un lembo di Baltico che in appena due ore di navigazione ci conduce in Finlandia.

A Tallinn è facile confondere la sede del Parlamento con quella d’un anonimo condominio nobiliare, la residenza del primo ministro con la dimora d’un borghese benestante; una sobrietà che rifugge persino lo sfoggio abituale dei piantoni al palazzo del Governo, o al rito solenne del cambio della guardia. Forse è nella mitezza estone la chiave per comprendere l’apparente distanza dai traumi del terrorismo atta ad evitare asfissianti controlli alla dogana. Si vive bene a Tallinn, coccolati da una luce estiva che concede lo stravolgimento di tramonti a mezzanotte e un cielo che fatica a mostrare le stelle anche nelle ore piccole della notte; una luce che stravolge i ritmi di vita persino in inverno, quando si capovolge la prospettiva, concedendo poche ore d’azzurro e molte di buio; un cielo cangiante che regala stagioni alterne di sole ed inverni di neve: atmosfere che vorremmo vivere alle nostre latitudini (specie per le feste decembrine) come un grande abbraccio bianco. Per questo motivo ci si consola bevendo un sorso di Vana Tallinn o una vodka senza ghiaccio, per riscaldare lo spirito d’una serata in un pub alla moda o in una discoteca, distratti da sensuali “Barbie” in minigonna. Le donne appunto, famose per la nordica beltà di biondi crini e occhi chiari, conquistano il cuore dei viaggiatori e a volte frantumano le certezze nello sbandamento d’uno sguardo di ghiaccio.

E dunque dall’estremo lembo sud d’Europa all’estremo nord, le prospettive, i climi e le genti, lasciano intendere quanto sia diversa e persino uguale l’appartenenza al medesimo continente.

lunedì 22 agosto 2011

Ramo della Senna vicino a Giverny – Claude Monet


25/4/2000
Placida, come di foglia azzurra o come il sereno dormire della Senna al meriggio. Vapori di fugace dimenticanza limitano il tempo dei sospinti sapori campestri; la distanza non ha realtà percepibile, e nella assente monotonia d’un soggetto monòcromo, dimentico il mondo reale; quasi a scoprire che tutto termina nell’eterea prospettiva d’un quadro.

mercoledì 17 agosto 2011

Un'apatia che uccide ogni mutamento

Ho un sassolino a togliermi. Me lo tolgo raccontando una vicenda che da un lato mi ha infastidito e dall'altro mi ha aperto gli occhi sul nostro modo di essere siracusani.
Anni fa facevo parte di un'associazione su cui riponevo grandi speranze, non solo perché in essa portavo avanti la mia passione, ma soprattutto perché la consideravo come il miglior mezzo per diffondere la conoscenza e la bellezza. In un'associazione piccola si fa presto ad avere un ruolo attivo, si è in pochi e inevitabilmente si tocca con mano i vari aspetti organizzativi: i rapporti con le altre associazioni, quelli con i soci, quelli con la pubblica amministrazione ecc. È un'ottima esperienza che permette di scoprire come gira il mondo...

Dopo anni di impegno e passione era arrivato il mio momento, venni eletto presidente e affiancato da un amico che come me desiderava imprimere una spinta in avanti all'associazione e alla città. Lui palermitano di nascita e di cultura, aveva nel sangue una natura ancor più attiva della mia; resomi conto che il mio cauto approccio alle novità era solo un preconcetto culturale, decisi di affidarmi al suo istinto. Grazie a lui ho imparato che quando si vuole fare qualcosa di importante bisogna rischiare anche una brutta figura, l'importante è che essa sia a fin di bene.
Così iniziammo un'opera di attivismo e di apporto continuo di idee e novità in associazione. Le riunioni di direttivo divennero frequenti, le decisioni incalzavano, le attività si moltiplicavano e ovviamente la pressione sui soci aumentava. Il concetto di base era quello che: più ti mostri attivo e con attività interessanti, e più attiri interesse verso nuovi soci, ma soprattutto divieni pian piano un'istituzione in città. Iniziarono quindi gli articoli sui giornali che pubblicizzavano le nostre attività, un aggiornamento costante del sito web, le newsletter ai soci. Insomma la macchina organizzativa si muoveva a pieno ritmo.

Ma tutto quell'attivismo non ebbe un riscontro immediato. La pubblicità ci rese famosi ma non incrementò il numero degli interessati, al più dovrei dire che avvicinò coloro che si erano allontanati negli anni passati. Il rovescio della medaglia era però sul fronte interno. L'attivismo non piaceva. Ci si lamentava delle troppe iniziative, dell'uso delle email (considerato un'innaturale sostituto agli incontri reali), ma anche una critica sullo snaturamento dell'associazione troppo incline alla divulgazione e poco alle finalità culturali interne. Si aggiunga poi una ritrosia a portare a compimento semplici compiti: fare delle fotocopie, aggiornare una pagina web, portare del materiale durante le attività pubbliche, venire puntuali alle riunioni, ed essere proattivi quando interpellati. Mano a mano che si andava avanti le resistenze interne aumentavano, come se la nostra voglia di fare ci lasciasse dietro tutti quanti.
Così a malincuore optammo per un rallentamento delle attività, ma non per questo in un rilassamento. Non tolleravo certe sbavature, certe negligenze con i soci, certe dimenticanze. Le cose per me andavano fatte bene, senza approssimazioni e senza la tentazione di tornare indietro. Un'associazione deve crescere sempre, tendere a un certo grado di serietà al suo interno, se l'organizzazione è approssimativa, salta tutto il lavoro costruito nel tempo.

Il mandato di due anni divenne estenuante e complesso, non solo perché si aveva la sensazione d'essere da soli: non era facile avere l'appoggio degli altri e spesso si era costretti a fare anche il compito del segretario, del tesoriere o del webmaster. Tutto in fondo ricadeva sulle spalle del presidente e in pochissimi comprendevano il valore dell'impegno profuso. Sicché al termine del mandato capii che la cosa più saggia era quella di non ripresentarmi a nuove elezioni, di uscire dai ruoli attivi, allentando così quella tensione che nel frattempo era sorta tra di noi. Così ho assunto controvoglia un ruolo passivo (avrei voluto uscirmene subito ma le circostanze me lo impedivano). Col cambio di presidenza le buone abitudini acquisite si persero: i ruoli dei consiglieri non vennero più affidati con oculatezza, le attività diminuirono, l'ordinario tornò ad essere svolto con poca attenzione ecc. Ma questo cambio di marcia non sortì grandi effetti, i soci (non tutti ovviamente) non notarono grandi cambiamenti (in fondo per loro pareva tutto immutato), e i nuovi iscritti mantennero quella bassa frequenza di sempre.
Oggi che non faccio più parte di essa riscontro un mantenimento delle attività ordinarie, ma con la differenza che esse vengono svolte con la sensazione rilassata di sempre. Qualcuno spunta e qualcuno va, senza tuttavia vedere all'orizzonte grandi prospettive, grandi sogni.

Da questa storia ho imparato una cosa fondamentale. Il siracusano, e forse il siciliano in genere, è una persona che si accontenta, che non guarda avanti, al più guarda al presente. Non c'è e non pretende una prospettiva futura, una mission, un sogno concreto. Per lui è sufficiente avere quel poco che gli è concesso, tutto il resto è superfluo, e persino invadente se comporta un suo impegno personale. Il mondo di cui si attornia è piccolo e mediocre, ridotto a uno svago sincero, ma ristretto. Da qui la considerazione che un'associazione, per quanto piccola e composta da una sola tipologia di soci, possa in fondo rappresentare il campione di una società apatica. Da qui si comprende l'accettazione della moltitudine di cittadini delle bieche abitudini: l'assenza di servizi pubblici, l'assenza di regole per strada, l'inciviltà, l'incuria, ma soprattutto quella disarmante abitudine a fare sempre le stesse cose accontentandosi di una inguaribile monotonia. Sicché immagino le reazioni ai possibili mutamenti che un sindaco illuminato potrebbe apportare alla sua comunità: autobus efficienti scontenterebbero coloro che sono abituati a prendere l'autobus calcolandone un fisiologico ritardo, le multe e l'ordine imposto al traffico, anche se smaltirebbero la confusione, richiamerebbero ondate di proteste contro l'ipotetico "sindaco sceriffo", per non parlare di cosa potrebbe avvenire se si multassero le persone perché gettano le carte per terra o perché sporcano... L'assenza di regole, la negligenza e l'apatia (immaginate l'apertura di locali notturni che animino di giovani la città? Apriti cielo!) sono il giusto equilibrio di chi vive la vita fuori dal cambiamento, ma soprattutto fuori dalla voglia di migliorare.

Paradossalmente potrei dire che ho compreso come la gente mostri chiaramente di desiderare che tutto resti per come è oggi: apaticamente rassicurante.

martedì 16 agosto 2011

Isaac Newton



Nacque il 25 dicembre 1642, presso il borgo di Woolsthorpe a sud di Grantham una città vicino Nottingam; da Isaac Newton e Hannah Ayscough. Il padre morì tre mesi prima della sua nascita a soli 37 anni.

Isaac nacque prematuro, piccolo e gracile. La madre due anni più tardi si risposò con il reverendo Barnabas Smith, rettore di una parrocchia a due chilometri da Woolsthorpe. Così il piccolo Newton fu affidato alla nonna materna e allo zio, la madre Hannah andò ad abitare col nuovo marito.

A 12 anni Isaac frequentò la scuola superiore di Grantham alloggiando presso una famiglia di farmacisti, i Clark, cominciando i primi studi di chimica e leggendo nella soffitta molti libri. A scuola gracile come era, spesso si allontanava dagli altri ragazzi che lo prendevano in giro per il suo fisico, e spesso stava in disparte a meditare. Aveva anche una passione per i giocattoli meccanici che inventava e costruiva lui stesso. Questa passione lo occupava tanto che spesso tralasciava gli studi, riprendendoli alcuni mesi dopo, rimettendosi allo stesso livello dei compagni nello stupore dei maestri. Inventò anche un orologio ad acqua che sfruttando il dislivello tra due recipienti consentiva di leggere l'ora su un galleggiante alimentato dal serbatoio superiore. In quegli anni fece molte altre esperienze, costruì un aquilone con il quale vi attaccava una lanterna per terrorizzare i contadini, osservava il moto delle ombre sui muri e in pochi anni costruì un quadrante solare.

Nel 1656 morì anche il secondo marito di Hannah, la quale rimasta sola volle Isaac con sé nella vecchia casa di Woolsthorpe. Così a 16 anni ma la madre lo indirizzò al lavoro nelle terre di famiglia, al bestiame e ai raccolti; ma pur con tutta la buona volontà Isaac non ne era predisposto, tanto da lavorare male e disinteressatamente, pensando solo ai suoi libri e ai suoi complicati meccanismi. Così, consigliata da Mr Stokes direttore della scuola superiore di Grantham, decise di fargli proseguire gli studi per prepararlo all'ammissione all'università. Newton quindi ritornò presso i Clarke per studiare.

Nel 1660 a 18 anni passò l'esame di ammissione al Trinity College di Cambridge. Iniziò a studiare tutte le materie come: la matematica e la geometria per la quale lesse gli Elementi di Euclide accantonandoli poco dopo e trovandoli eccessivamente facili. Preferì quindi dedicarsi alla lettura della Geometria di Descartes.

All'università il suo professore Isaac Barrow, gli diede le prime nozioni di matematica. Fu particolarmente attratto dalle lezioni matematico-geometriche di Descartes detto Cartesio, il quale a quel tempo aveva appena scoperto le applicazioni delle equazioni algebriche alle curve, e a superfici di geometria classica. Apprese anche tutte le nuove tecniche di calcolo algebrico e trigonometrico, conoscenze importanti per le sue future scoperte.

Nel gennaio 1665 Newton si laureò. Ma la peste che per parecchi anni fece stragi in Europa arrivando anche in Inghilterra, e per questa ragione l'università fu chiusa; così tornò nella casa di Woolsthorpe ove trascorse due anni meditando e lavorando a nuove idee. Questi due anni furono i più fecondi per lui, infatti, compì numerosi studi e scoprì molte applicazioni matematiche come: un metodo generale per risolvere le proprietà delle linee curve e delle aree ad essi delimitate, nonché la formula del teorema del binomio per la somma di due termini elevati a potenza frazionaria positiva o negativa. Importante è senza dubbio la scoperta del calcolo delle flussioni ossia il calcolo differenziale e integrale. Questa scoperta apparve nella sua prima monografia il 20 maggio 1665, un'importante data, perché da allora iniziò una lunga controversia con Leibniz (1646-1716) sulla potestà della scoperta. Newton usava spesso iniziare dei lavori e poi accantonarli per diversi anni. E così fece per il metodo delle flussioni, riprese le stesse formule quando Leibniz, un grande filo-sofo e matematico tedesco, scoprì appunto questo metodo indubbiamente migliorato rispetto a quello che presentava Newton. Lo scontro fu molto duro, tra i due non correva buon sangue e per anni i loro allievi difendevano l'uno o l'altro maestro. Newton e Leibniz infatti non si riconciliarono mai proprio per questa controversia. Resta da dire che di chiunque sia la paternità della scoperta rimane sempre un notevole passo in avanti dal punto di vista matematico. Parte proprio da questo secolo la base per lo sviluppo della moderna matematica.

Il telescopio newtoniano
Il biennio 1665-66 come ho già detto, fu per Newton un periodo particolarmente fecondo, oltre alle suddette scoperte c'é da annoverare i suoi studi sull'ottica e sulla luce. In quegli anni iniziò l'interesse per i telescopi, appena inventati da Galileo nel 1616 e successivamente perfezionati da Huygens e Descartes. I primi telescopi risalgono proprio a quel secolo in cui era evidente il difetto dell'aberrazione cromatica per tutte le ottiche a rifrazione, comportando diversi fuochi per ogni colore dello spettro. Newton allora dopo essersi per lungo tempo dedicato al taglio e alla costruzione di lenti per telescopi, abbandonò gli esperimenti per dedicarsi allo studio dei telescopi riflettori, che esistevano già prima dello scienziato. I primi passi infatti erano cominciati con James Gregory, il quale aveva pensato già a uno specchio concavo per raccogliere la luce e mandarla a uno specchio secondario. Ma dei suoi studi non realizzò nulla. Invece Cassegrain nel 1668 realizzò la celebre configurazione ottica, da ciò Newton pensò di costruire un telescopio sullo stesso principio, ma con uno specchio secondario inclinato a 45° in modo da spostare il fuoco al lato del tubo. Da allora è nato il moderno telescopio Newtoniano che risolve molti problemi ottici e agevola la raccolta della debole luce delle stelle. La costruzione del primo modello avvenne un anno dopo, avendo studiato e lavorato lui stesso allo specchio nei suoi laboratori. In una lettera del 23 febbraio 1669 scriveva:« ...penso che sia più di quanto possa fare qualsiasi cannocchiale da sei piedi - aggiungendo - Ma, tenendo conto del cattivo materiale adoperato e della mancanza di una buona levigazione, esso non rappresenta gli oggetti altrettanto distintamente di un cannocchiale da sei piedi. Darà tuttavia la possibilità di fare altrettante scoperte che un cannocchiale di tre o quattro piedi, soprattutto trattandosi di oggetti luminosi. Con questo strumento ho visto distintamente il disco di Giove, i suoi satelliti e la falce di Venere». Infine quasi sconsolato concludeva: «Sono persuaso che un cannocchiale normale, anche se costruito con una lente purissima, perfettamente levigata, secondo la migliore forma fino a oggi calcolata, o calcolabile in futuro, da un qualsiasi scienziato potrà essere di poco superiore a un cannocchiale meno perfetto della stessa lunghezza. E benché questa affermazione possa sembrare paradossale, non è che la naturale conseguenza di un certo numero di esperimenti da me fatti, relativi alla natura della luce».

L'11 febbraio 1671 Newton presentava il suo nuovo modello di telescopio ai soci della Royal Society. La società nacque ufficialmente il 15 luglio 1662 e composta inizialmente da cinquantadue soci. Così alla presentazione del telescopio il giovane Newton, con tutte le carte in regola, entrò ufficialmente nella nuova associazione. Huygens (1629-1695) ebbe l'incarico di assicurare e proteggere i diritti di proprietà del telescopio, in previsione della presentazione ufficiale nel continente.
Interessante è una lettera di Huygens a Oldenburg segretario della Royal Society del 1° gennaio 1672: «Mi faccio premura di spiegarle l'invenzione del nuovo telescopio del signor Isaac Newton, professore di matematica a Cambridge. Tutto quello che posso dirle per ora è che dal primo esperimento da noi esaminato risulta che, confrontando le due immagini, l'oggetto rappresentato dal telescopio di circa 6 pollici, è 9 volte più grande di quello rappresentato da un normale telescopio di 25 pollici. L'operazione avviene mediante due riflessioni, la prima riflette l'oggetto da un concavo metalinizzato ad uno specchio piano pure metalinizzato, l'altra da questo specchio ad una piccola lente oculare piano convessa che rinvia l'oggetto all'occhio rappresentandolo senza alcun colore e molto distintamente in tutte le sue parti.» Il 15 gennaio: «Le saremo grati se vorrà inviarci la sua opinione. Con un simile telescopio probabilmente non sarà facile trovare nè gli oggetti nè una sostanza riflettente che possa conservarsi nitida. Riteniamo però di poter trovare degli espedienti per ambedue i casi.»

Nei famosi anni di pausa Newton oltre ai suddetti esperimenti iniziò i suoi studi sull'ottica che ben presto sfociarono nel telescopio a riflessione e che continuarono nel 1669 con esperimenti sulla luce; agevolati dal fatto che il suo grande maestro Isaac Barrow abbandonò la cattedra di Cambridge per cederla successivamente al suo allievo. Così facendo Newton aveva la sicura rendita economica e poteva tranquillamente dedicarsi ai suoi studi; infatti doveva tenere un corso settimanale, più due lezioni per altri studenti, potendosi gestire gli argomenti da trattare tra fisica e matematica. Inoltre per gratitudine nei confronti della Royal Society che lo aveva associato, presentò una monografia sui suoi esperimenti della luce, i Philosophical Transactions; l'opera, indubbiamente un passo importante nella storia della fisica moderna oltre ad essere un valido testo di ottica, ebbe una grande risonanza sui contemporanei di Newton. La Royal Society così decise di ringraziare solennemente Newton con la pubblicazione. Per regolamento interno una commissione della Society doveva giudicarne il valore, Robert Hooke (1635-1702) era uno di quelli, il quale con tono critico, non condivise molte teorie. Hooke non era convinto della scomposizione dei colori da parte della luce bianca, nonché della teoria sul fenomeno dei colori. Anche Huygens lesse l'opera e criticò la teoria corpuscolare che Newton sosteneva, egli infatti era propenso per la teoria ondulatoria della luce. Ma Huygens non aveva inteso profondamente il senso dei suoi esperimenti e in alcuni casi gettò critiche eccessive, tanto che Newton dichiarò che Huygens fosse incapace di giudicare la sua opera. Le altre critiche ricevute successivamente da altri scienziati lo fecero decidere di abbandonare la carriera di scienziato. Ma le critiche non finivano solo lì, perché anche Hooke si mise contro. Egli era un importante scienziato dell'epoca, fece molte osservazioni col microscopio di sua invenzione, pubblicando Micrographia. In effetti conosceva bene l'ottica e i princìpi delle combinazioni tra lenti, sostenendo la teoria ondulatoria della luce.
Forse chi aumentò molto la controversia tra Hooke e Newton fu Oldenburg acerrimo nemico del primo, il quale difese Newton accentuado la controversia. E Newton per far capire il senso vero di ciò che affermava nel trattato, scrisse molte lettere a Hooke chiarendo il vago senso delle parole. Nel 1675 scrisse alla Royal Society un manoscritto Ipotesi per spiegare le proprietà della luce, parlando degli esperimenti condotti sui colori prodotti da lamine sottili. Ma Hooke rivendicò la sua priorità della scoperta citata anche nella Micrographia. Da allora Newton non mandò più nulla alla Society. Solo nel 1704 un anno dopo la morte di Hooke pubblicò il Trattato d'ottica sulle riflessioni, rifrazioni e colori della luce. Poi nel 1717 aggiunse nella seconda edizione dell'Ottica trentuno questioni sulla luce. Indubbiamente un libro che aprì molte porte a nuove conoscenze e teorie sulla natura della luce, nonché sulla fisica delle lenti.

Ma le scoperte e le discordie non finiscono qui, infatti anche per quanto riguarda la scoperta della gravitazione universale già da anni iniziavano i dibattiti sulla natura del movimento e di tutta la meccanica celeste. Dopo le tre famose leggi sul movimento dei corpi celesti di Keplero. Sarà Newton a dare certezza matematica anche se da tempo si affermava la medesima cosa ma in maniera empirica. Perché Gassendi credeva che la gravità fosse creata dall'attrazione della Terra. Nonché Hooke, diceva che esisteva una forza gravitazionale decrescente all'aumentare della distanza del pianeta dal Sole.
Nel famoso biennio 1665-66 inizia la prima idea della gravitazione: «Ero allora all'apice della forza creatrice, e non provai mai più una tale passione per la filosofia». Fu poi Voltaire a rendere famoso quel racconto sulla scoperta della gravitazione, ovvero la caduta di una mela dall'albero con la quale suppose l'origine del fenomeno della gravità.

Una volta assimilata la convinzione che la gravità ha certe caratteristiche, Newton cercò di trovarne una formula matematica per spiegare il fenomeno. Il suo ragionamento partì dalle leggi di Keplero, che affermando come un corpo ruoti attorno al sole in orbite ellittiche, ne deduce che ciò debba avvenire con un equilibrio di forze; una centripeta e l'altra centrifuga. Ma poiché non riusciva a calcolare la forza centrifuga di un ellisse paragonò l'orbita a un cerchio, calcolò così la forza e capì che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza: aveva scoperto la legge di gravitazione universale e senza rendersi conto dell'importanza la accantonò per anni.

In questo periodo tutti sapevano che Newton aveva abbandonato gli studi della filosofia e precisamente dopo la polemica con Hooke riguardo il suo trattato di ottica. Sembrava anche che tra i due le acque si fossero calmate, quando Hooke che allora era diventato segretario della Royal Society chiese a Newton alcuni commenti riguardo persone esperte che potessero misurare la differenza di latitudine tra Londra e Cambridge. Egli rispose di non conoscerne e di non dedicarsi più alla filosofia. Ma in realtà Newton aveva appena deciso di riprendere le idee sulla gravitazione, ma non voleva comunicarle a nessuno. Fu Halley (1656-1742) membro anch'egli della Society il quale non era del tutto daccordo con le idee di Hooke, che andò a trovare Newton per sapere di più sui suoi studi precedenti riguardo la gravitazione. Newton diede delle sue ipotesi che piacquero tanto a Halley da convincerlo a pubblicare un opera, il De Motu corporum, parlando dei tanti problemi riguardo il movimento dei pianeti. Ma solo nel 1687 Newton si convinse a scrivere la sua più grande opera, Philosophiae naturalis Principia mathematica. L'opera è composta di tre libri. Il primo libro inizia riportando definizioni o leggi sul movimento.           

IV Definizione: La forza impressa è l'azione mediante la quale lo stato del corpo si cambia, sia che si tratti di stato di riposo sia di movimento rettilineo uniforme.

V Definizione: Si chiama forza centripeta quella forza che fa tendere i corpi verso un punto determinato, per esempio verso un centro, sia che siano attratti o spinti verso questo punto o che vi tendano in un modo qualunque. Un proiettile non ricadrebbe verso terra se non fosse mosso dalla forza di gravità, ma se ne andrebbe in linea retta verso i cieli con un movimento uniforme, se la resistenza dell'aria fosse nulla. E' dunque la gravità che lo devia dalla linea retta e che lo flette continuamente verso la terra. La traiettoria si flette più o meno, asseconda della gravità e delle velocità del movimento del proiettile. Per la stessa ragione di un proiettile che girasse attorno alla terra per la forza di gravità, anche la Luna per la sua forza di gravità (supposto che essa graviti) o per qualsiasi altra forza che la porti verso terra, potrebbe essere deviata a ogni istante dalla linea retta per avvicinarsi alla terra ed essere costretta a muoversi secondo una linea curva, e senza tale forza non potrebbe essere trattenuta nella sua orbita.
Il libro prosegue enunciato le tre leggi generali del moto. La legge d'inerzia: Ogni corpo persevera nello stato di riposo o di moto in linea retta uniforme nel quale si trova, a meno che qualche forza non agisca su di esso e non costringa a cambiare stato.
La legge della forza: La forza è uguale al prodotto della sua massa per l'accelerazione impressagli.
La legge di azione e reazione: L'azione è sempre uguale ed opposta alla reazione: vale a dire che le azioni dei due corpi, l'uno sull'altro, sono sempre uguali e in direzioni contrarie.



Il secondo libro parla del moto dei corpi, accenna alla teoria della resistenza dei fluidi, parla delle resistenze opposte dall'aria con i pendoli e la traiettoria di un proiettile. Sviluppa considerazioni sulla velocità di propagazione delle onde, sulla natura corpuscolare della luce e studi di idrodinamica e idrostatica.

Nel terzo libro Newton parla del sistema del mondo, del movimento dei pianeti, e confermando le leggi di Keplero, calcola la massa del sole, determina la densità con un errore del 10%. Parla della precessione degli equinozi come un moto di 26000 anni. Spiega in maniera definitiva la teoria delle maree come moto causato dall'attrazione della luna e del sole, descrive il moto delle comete come parabole attorno al sole. E conclude il libro con quattro importanti affermazioni e consigli che uno scienziato deve tenere in considerazione:
  1. Bisogna ammettere soltanto le cause necessarie per spiegare i Fenomeni.
  2. Gli effetti dello stesso genere devono sempre essere attribuiti, per quanto è possibile, alla stessa causa.
  3. La qualità dei corpi non suscettibili di aumento o di diminuzione e appartenenti a tutti i corpi sui quali si possono fare degli esperimenti, devono essere considerate come appartenenti a tutti i corpi in generale.
  4. Nella Filosofia sperimentale le proporzioni, tratte dai fenomeni per induzione, devono essere considerate, malgrado le ipotesi contrarie, come esatte o quasi vere, fino a che qualche altro feno-meno confermi la loro veridicità o dimostri che sono soggette a eccezioni.
I Principia furono pubblicati da Halley che curò i rapporti con l'editore. Il 23 maggio 1686 scrisse: «I membri della Royal Society, ai quali il dottor Vincent presentò il 28 scorso l'incomparabile trattato Philosophiae naturalis Principia mathematica da lei scritto e a loro dedicato, furono talmente sensibili a questo onore che si sono affrettati a rivolgerle i loro calorosi ringraziamenti, decidendo inoltre di convocare un consiglio per deliberare la pubblicazione dell'opera. Ma data l'assenza del presidente, in servizio presso il re, e dei vice presidenti che il bel tempo aveva allontanato dalla città, il consiglio non si è ancora riunito per prendere le decisioni necessarie.[...] La devo inoltre informare che il signor Hooke pretende di essere l'autore della scoperta della legge della gravità decrescente, inversamente proporzionale al quadrato delle distanze dal centro. Afferma che Ella gli è debitore dell'idea, benché riconosca che la conseguente dimostrazione delle curve è opera sua. Ella sa come stanno le cose esattamente, e come bisogna affrontare il problema, ma sembra che il signor Hooke pensi che nella prefazione, qualora Ella abbia l'intenzione di scriverla, debba essere citato il suo nome. Voglia perdonarmi se le dico tutto ciò, ma ritengo mio dovere informanla, perchè possa agire di conseguenza. Sono persuaso infatti che dalla parte di una persona che non ha certo bisogno di usurpare la fama altrui, non ci si possa aspettare che la più completa sincerità. La pubblicazione inizierà non appena Ella mi avrà fatto conoscere le sue decisioni, perciò la prego ancora una volta di farmele avere il più presto possibile».

Nel 1687, in Inghilterra spirava un periodo di relativo fervore in quanto era cambiato il re, Giacomo II aveva lasciato il posto a Carlo II. Questo complicò le cose per l'università di Cambridge, poiché fu introdotta la legge che vietava l'accesso dei non anglicani alle cariche pubbliche e alle università. Da qui nacque una grave crisi che sfociò in una rivoluzione nel 1688. Newton era ancora intento alla revisione dei Principia, e non si occupava di politica. Ma proprio in quegli anni l'università lo elesse rappresentante al parlamento per sbloccare la situazione e fare gli interessi degli scienziati. Così in questo periodo inizia per lui una fase ove abbandona gli studi scientifici per dedicarsi di più alla teologia, alle discussioni sulla trinità ecc. Tra l'altro conobbe il filosofo Locke con il quale strinse un'intima amicizia. Poi perse anche la madre, fu un duro colpo che lo portò nel 1693 a un periodo di pazzia o eccessivo esaurimento nervoso. Solo con l'affetto dei suoi amici riuscì ad uscire da questa grave crisi.

Il 19 marzo 1696 il suo amico Montague diventato ministro delle finanze lo nominò amministratore generale della zecca. Con questo incarico Newton potè disporre di maggior tempo libero e di un ottimo stipendio, si trasferì a Londra ma conservò il posto all'università. La sua nomina fu davvero essenziale. A quel tempo la moneta inglese era in balìa del caos, perchè era priva di una forgiatura anti falsari. Capitava spesso di contrabbandare monete false e di riprodurle, così per ovviare a questo enorme problema Newton fece coniare le nuove monete, ne rivoluzionò la forma, introdusse la zigrinatura e ammodernizzò la stampa. Questo cambiamento è alla base dell'ordina-mento monetario moderno dell'inghilterra.

Il 10 dicembre 1701 si dimise dalla cattedra dell'università, e il 30 novembre 1703 fu eletto presidente della Royal Society. La carica la conservò sino alla fine. Nei suoi ultimi anni di vita si interessò molto di teologia, scrisse anche delle opere teologiche, e curò l'interpretazione delle Sacre Scritture nelle parti inerenti l'Apocalisse e le profezie di Daniele: «Questa ammirevole disposizione del sole, dei pianeti e delle comete non può essere che l'opera di un essere onnipotente e intelligente. E se ogni stella fissa è il centro di un sistema simile al nostro, è certo che tutto deve essere soggetto a un solo e medesimo Essere, dato che esso porta l'impronta di uno stesso disegno, perchè la luce che si scambiano reciproca-mente il sole e le stelle fisse è della stessa natura, Inoltre colui che ha organizzato questo universo, ha collocato le stelle fisse a una immensa distanza la une dalle altre, per timore che questi globi non cadessero gli uni sugli altri, per la loro forza di gravità. Questo Essere infinito governa tutto, non come anima del mondo, ma come Signore di tutte le cose. E per questo suo dominio, il Signore Iddio si chiama Signore Universale. Perchè la parola Dio è una parola relativa che si riferisce ai suoi servitori; e si deve intendere per divinità colui che possiede la potenza suprema non soltanto sugli esseri materiali, come pensano coloro che considerano Dio unicamente come anima del mondo, ma anche sugli esseri pensanti a lui soggetti. L'altissimo è un essere  infinito, eterno, perfet-tissimo: ma un essere, per quanto perfetto, che non possedesse il dominio, non sarebbe Dio.»

Negli ultimi anni della sua vita Newton si ammalò di polmonite, che gli diede problemi per molti anni finché il 20 marzo 1727 morì a 85 anni. Fu seppellito a Westminster ove nella tomba vi si trova scritto: «Si rallegrino i mortali che sia esistito un tale e così grande onore del genere umano».
         
In vita ricordiamo alcune opere importanti:

1668 Tractatus de quadratura curvarum
1684 Del moto
1687 Philosophiae naturalis Principia mathematica
1704 Ottica: o trattato della riflessione, inflessione e colori della luce
1707 Aritmetica universale
1712 Teoria delle curve di terzo ordine
1736 Metodo delle flussioni e delle serie infinite.
   
Newton segna il passo decisivo nei confronti della separazione netta nata da Galileo, tra scienza dimostrata e filosofia empirica. Il mondo e le sue leggi vanno discusse e dimostrate, egli fece così per tutte le sue scoperte, vedi la gravitazione e le infinite applicazioni della fisica. Egli fu l'ultimo grande uomo che riuscì a scoprire e studiare in diversi campi. Da allora la scienza è progredita così tanto che un uomo non può avere tali conoscenze specifiche in materie diverse. Alla base della meccanica celeste e della fisica classica c'é Newton. Grazie alla sua genialità nacque il telescopio Newtoniano, e sempre grazie a lui il mondo conosce le tre leggi del moto, altre dell'ottica dell'idrodinamica della fisica e anche della filosofia. Newton è un mondo da scoprire, un universo da esplorare, colui che genialmente ha rivoluzionato il sapere del 600. Non fu un grande astronomo, ma diede un enorme contributo all'astronomia non solo con la legge universale!  

martedì 9 agosto 2011

Rio de Janeiro


Si stenta a credere ai propri occhi quando si sorvola Rio de Janeiro, poiché la morfologia della costa appare familiare anche per colui che vi arriva la prima volta; questa sensazione d’alta quota si trasforma poi in una piacevole vertigine quando si mettono ben saldi i piedi a terra e si respira la brezza caldo-umida dei tropici: in quel momento si pensa d’essere piombati nel set immaginifico di un sogno… Sembra infatti una passeggiata onirica, la sensazione che si prova percorrendo i marciapiedi a mosaico d’onde bicrome dell’Avenida Atlantica, poiché torna alla mente il divertente ballo a ritmo di Samba di Paperino e José Carioca, in una pellicola animata della Walt Disney.

Incrociando poi la gente di Rio, ci si sente immersi nel sapore festoso di una contagiosa allegria Brasiliana, esternata dai grandi sorrisi di sculturei ragazzi che si sfidano in una partita di beach volley; un’allegria che percorre le spiagge sabbiose di Ipanema, sino alle dolci colline verdi del Corcovado, là dove campeggia l’imponente statua del Cristo Redentore che abbraccia la città che porta il suo nome. Da questa altezza il panorama è commovente, poiché è possibile riconoscere come in un’immensa cartina geografica, ogni luogo della città da cui si percepisce l’aspetto duale dei suoi abitanti: la Rio agiata che vive le sue ore tra i bar di Copacabana e le frenesie dei sambodromi, e quella povera delle periferie, tra le immense favelas abbarbicate sulle immondizie di colline troppo ripide dove tutto è permesso, anche la facoltà di morire erroneamente per pochi spiccioli in tasca. In questo contrasto di mondi apparentemente lontani ma in realtà fin troppo vicini, Rio de Janeiro fa delle sue diversità una virtù; il simbolo stesso della mescolanza di razze e colori, che nel collante di una forte identità nazionale, unisce i brasiliani in un unico grande popolo.

Nella “città di Dio” tutto può accadere: sedotti dall’imprevedibilità di un amore esotico nato dalla solerzia di uno sguardo ammiccante, o più semplicemente lasciandosi incantare da una Capoeira improvvisata da giovani in cerca di esibizionismo. Eppure la città carioca non è solo un concentrato di ore da prendere troppo alla leggera, poiché essa cela un sorprendete passato da capitale, con cui sono stati edificati, sul finire dell’ottocento, boulevard parigini e piazze soleggiate, per poi proseguire l’opera nel disegno moderno di Le Corbusier. Anche per questa ragione già dal dopoguerra, un fitto via vai di star del cinema e Capi di Stato, ha animato le hall dei vecchi alberghi di lusso, coagulando il mito perenne della luce dei tropici. Rio così, mantiene la fama di un Carnevale ormai massificato dalle TV del globo e dai soldi degli sponsor, sedotto dall’espansiva furbizia delle sue donne, dalla follia collettiva delle Sambe di professionisti del ballo, dalle immense fortune editoriali di Paulo Coelho o da quelle calcistiche di Zico, Romario e Ronaldo; poiché Rio è la città del Maracanà, lo stadio più grande del mondo, il tempio di uno sport che esalta più di tutti il religioso culto del corpo su cui i brasiliani ripongono un’indiscussa fede. Così in questa conurbazione di contraddizioni, idee e sogni, chiunque almeno una volta nella vita, vorrebbe perdersi senza alcuna remora.

giovedì 4 agosto 2011

La pretesa del rispetto

Sono anch'io convinto del fatto che sia una buona norma e rispetto vestire in maniera adeguata all'ingresso dei luoghi di culto: chiese, moschee o sinagoghe. In genere il decoro vuole che le donne non vestano abiti succinti e gli uomini evitino canottiere e pantaloncini. Per quanto questo divieto sembri vetusto e a tratti ridicolo, comprendendone l'importanza del luogo ci si adegua.

A volte capita pure di riscontrare questo stesso divieto anche presso alcuni uffici pubblici. Su questo divieto sono incappato giorni fa andando al Comando dei Vigili Urbani di Siracusa e, visto il caldo, vestivo con maglietta, pantaloncini e ciabatte per una multa. All'ingresso il Vigile Urbano mi ha fatto notare che esiste un'ordinanza del comandante dei vigili che vieta l'ingresso alle persone vestite in maniera "non decorosa". Pertanto onde evitare problemi maggiori, sono stato costretto a tornare a casa e a mettere pantaloni lunghi e scarpe. Questa operazione mi ha fatto perdere un'ora circa dato che dovevo raggiungere l'altro capo della città e spostarmi in mezzo al traffico: oltre a considerare la rabbia che montava... 


 Giunto al comando la solita attesa, tra il comico e il tragico: soggetti bizzarri, persone che giustificano tutto soprattutto una multa palese subita, a loro dire, mentre altri fanno ciò che vogliono. Ma tra i molteplici episodi c'era da riscontrare come le numerose persone che arrivavano commentavano il divieto con ironia e rabbia: "A unni semu a' chiesa?" "Decoro? Ma stiamo scherzando? E' ridicolo..."
Su questo argomento, discutendone con amici, ho riscontrato due punti di vista diversi: coloro che considerano il divieto come sacrosanto e chi come me pensa che il rispetto vada richiesto quando c'è rispetto. Chiedermi di vestire in un certo modo penso che allo stato attuale sia interpretabile in una accezione più negativa che positiva. Negativa perché invece di poter essere considerata come una forma di ordine, esso viene visto come un impedimento. Impedimento perché esso si aggiunge ai tanti obblighi che il cittadino è costretto ad avere, obblighi che non danno ordine ma un'ennesima difficoltà. Questa sensazione in me si è acuita per diverse ragioni.
La mia presenza al comando era necessaria per defalcare due punti dalla patente e successivamente per ottenere il bollettino postale per il pagamento. Ciò che induce la solita sensazione di oppressione al cittadino sono le difficoltà scaricate al cittadino. Per defalcare i punti è necessario presentarsi al comando, quando ormai basterebbe usare l'autocertificazione via internet. Il comando non riceve tutti i giorni e comunque si impiegano almeno due ore in attese. Il bollettino non è pagabile online perché il codice postale non lo consente, quindi è necessario perdere una mattinata alla posta: sappiamo quanto tempo sia necessario!

A fronte di uno o due giorni lavorativi persi per una semplice multa, l'impressione di un'ordinanza che chieda il decoro presso gli uffici pubblici appare come una beffa. Sicché ancora una volta l'indifferenza e il distacco delle istituzioni di fronte alle esigenze dei cittadini induce chiunque a un gesto di stizza nei confronti di certe pretese di rispetto. Da qui la voglia di fare il furbo, di evitare la sanzione, e persino di beffeggiare il sacrosanto diritto di rispettare chi lavora negli uffici. Il tutto perché il sistema e le istituzioni continuano a non essere credibili, ma anzi vengono viste come qualcosa che ostacola le libertà personali e la propria esistenza.